La trentunesima edizione del festival di danza si interroga sull’eterna questione. Le risposte che dà sono varie, ma tutte ispirate. Perché all’insegna di uno sguardo sensibile e una capacità di dare emozione al movimento – Silvia Poletti
Maschile/femminile. Ha un senso ancora esplorare le differenze di genere? E farlo nella danza, quando magari si scopre nella sensibilità di un coreografo – l’israeliano Roy Assaf – la capacità di cogliere certe piccole forze e debolezze femminili (sarà perché vive in casa con quattro donne…) e nell’acume pizzicante di una autrice – la canadese Aszure Barton– l’abilità di tratteggiare un analogo ritratto al maschile, tra guizzi vogueing e animalesca danza tribale? O forse, tout court, bisogna parlare semplicemente di persone, come fa Rachid Ouramdane?
Nella seconda parte di BolzanoDanza, festival che ha festeggiato quest’anno la sua trentunesima edizione, la fitta serie di spettacoli che abbiamo seguito sollevano interrogativi, suscitano emozioni, ci fanno scoprire inattese convergenze. Il tema scelto, si diceva, è quello della caratterizzazione di genere, ma in fondo la sintesi perfetta l’ha proposta, con la grazia intelligente del suo Tenir le Temps – in prima nazionale dopo il debutto al Montpellier Danse Festival – proprio il coreografo francese di origini algerine, terza generazione Nouvelle Danse, diplomato nel 1992 al Centro Coreografico Nazionale di Angers e esponente di punta di quella linea di teatrodanza tra l’impegno sociale e l’analisi pura del movimento, quasi basico, che nello sviluppo della costruzione si trasforma inevitabilmente in qualcosa d’altro.
In Tenir le temps si parte, non a caso, da uno dei concetti fondanti: il rapporto tra movimento e tempo musicale. Si compiono i più primari dei movimenti: camminare, correre, saltare, girare. Per una sorta di causa effetto i sedici danzatori in abiti quotidiani dalle varie tonalità di verde – uomini e donne di diversa qualità fisica e dinamica (tra questi anche una ragazza con una protesi al braccio) – si relazionano nel gioco della caduta e rialzata: la moltiplicazione di una medesima sequenza per canone, o unisono, o alternanza, trasforma le linee in tratti dal rigore geometrico, formalmente ineccepibile: ben presto però, proprio grazie alla morfologia e alla qualità dei suoi interpreti, quelle prese che trattengono dal finire a terra si trasformano in abbracci tinteggiati di umanità, con le più diverse sfumature che una emozione può racchiudere. Le quattro sequenze su musiche originali di Jean Baptiste Julien si dipanano mantenendo le regole iniziali: se questo tende ad appiattire, a lungo andare, il lavoro resta comunque vivida la sensazione di una certa sensibilità nel delineare i rapporti con i suoi interpreti, nel suo sguardo attento alle diverse reattività, che innervano il suo esercizio di composizione.
Anche Roy Assaf, talento vero della nuova danza israeliana (dopo i primi studi in danze popolari, dai sedici ha studiato moderno con Regba Gilboa e poi è stato sei anni con Emanuel Gat) apparentemente si dedica al solo flusso di dinamiche e alle potenzialità di energia e gravità che può avere un corpo. Poi nel delizioso duetto Six years later...ecco che la poesia fisica si svela nel continuo scivolarsi addosso, allontanarsi, riprendersi, parlare e guardarsi complici dei due danzatori (lo stesso Assaf e Hadar Yunger-Aler), che sono soprattutto un ragazzo e una ragazza con un segreto tra loro, del quale qualche bagliore fascinoso coglie il pubblico.
Assaf era stato protagonista dell’iconoclasta versione di Le Sacre du Printemps che rivelò Gat. Ora in Girls, qui in prima nazionale, ecco che l’inizio – potente e misterioso – è l’inconfondibile incipit stravinskiano: cinque ragazze in rosso, raccolte a terra, come creature che si muovono in un limbo ancestrale. L’eterno femmino immortale e selvaggio si trasforma però passando con ironia dalle romanticherie di un cuore infranto che canta una ballata anni ’50 muovendosi lieve con passi aggraziati mentre le altre fanno da coro, o i clichè da catwalk imposti da modelli di femminilità ben lontani dalle 5 pur brave danzatrici. Le Sacre ogni tanto riemerge come un imponente richiamo alla ruggente primordialità che è insita nel genere femminile, portatore di vita e prosecutore dell’umanità: l’aspetto arcaico si affaccia nelle manipolazioni con cui le ragazze cercano di modificare le proprie fattezze o nell’energia poderosa con cui ricompattano il gruppo. Assaf ha il pregio di essere insieme spettacolare e minimalista, sa raccontare e far danzare: le sue sono piccole storie contemporanee, radicate nella sua cultura e nel suo mondo, ma sanno arrivare a tutti.
In questa cronaca da Bolzano non posso però non segnalare, come dicevo sopra, l’estro incredibile, virtuosistico e di grande sagacia di una coreografa, la canadese Aszure Barton, per altro protegé di Baryshnikov che l’ha accolta nel suo Centro. Nella serata di Alessandra Ferri, Evolution, nella quale la nostra grande danzatrice continua a proseguire nella sua nuova strada artistica, passando dal lirismo struggente di Wheeldon alla danza sociale-lotta di genere della strepitosa Sinatra Suite di Twyla Tharp (ora con Craig Hall ora con Herman Cornejo), spicca questo irresistibile trio all black da Awaa della Barton: un crogiolo di vocabolari di danza declinati in maniera strepitosa che passano dal tribale alle danza camp, dall’energia esplosiva al controllo del sé di mistica precisione. Un vero exploit che -scopriamo dopo- parte dall’esplorazione del mascolino e del femminino. Eterno ritorno.
La foto di copertina è di Tenir Le Temps, L’A/Rachid Ourandame copy Patrick Imbert
Tenir le Temps
coreografia di Rachid Ouramdane per sedici danzatori
musica originale Jean Baptiste Julien
Six Years Later- Girls
coreografia Roy Assaf
musiche aa vv
Evolution/Alessandra Ferri-Herman Cornejo
coreografie Fredric Ashton, Lar Lubovitch, Alan Lucien Oeyen, Christopher Wheeldon, Kate Skarpetowska,Twyla Tharp, Alejandro Cerrudo, Aszure Barton,Angelin Preljocaj (prossime date stasera Civitanova Danza, Civitanova Marche, 30 luglio Auditorium Parco della Musica, Roma, 1 agosto Festival La Versiliana, Marina di Pietrasanta)