Il racconto di un’intensa giornata, dal sorgere al calar del sole, vissuta a contatto con i racconti, gli squarci di vita dei migranti di oggi e di ieri, raccolti e montati in tre tappe da Mario Perrotta e ambientati lungo le coste del Salento – Maria Grazia Gregori
Il progetto anzi il viaggio inventato da Mario Perrotta nella sua terra natale – il Salento – un viaggio che è di teatro, di conoscenza e di memoria non è solo qualcosa di estetico ma un sentimento che ha a che fare con la propria storia, ciò che siamo stati e siamo diventati: un ritornare verso i luoghi dove si è nati o da cui si è partiti proprio come fanno i gabbiani, per non perdere il senso del nido e del volo. Ma Versoterra – a chi viene dal mare va ben oltre il fatto privato: è piuttosto un viaggio di conoscenza, uno sguardo sul mondo che vuole arricchire lo spettatore ma anche gli interpreti. È un segno, un bisogno di fratellanza fra chi viene e chi c’è, fra chi viene e chi se ne va. Certo un viaggio è un viaggio con tutto il fascino della scoperta dei luoghi, della diversità dei colori dei due mari che bagnano la Puglia –l’Adriatico e lo Ionio – la loro calma o la loro forza. Qui, su quel lembo di terra meravigliosa che è il Salento si può arrivare da lontano credendo, magari, di poterci trovare l’America (ricordate il film di Amelio?) venendo da una terra orgogliosa ma crudele come l’Albania, pur conservandone con nostalgia il ricordo.
Questi disperati,che vanno alla ricerca di un luogo migliore dove poter lavorare e vivere – condizione che Perrotta conosce benissimo essendo anche lui figlio di emigranti partiti un giorno alla ricerca di un avvenire, come ci ha raccontato più volte in una serie di spettacoli di grande forza (ne ha presentato anche a Lecce alcuni pezzi con grande bravura e un pizzico di commozione), sono pronti a tutto pur di raggiungere il proprio scopo. E le nostre orecchie e i nostri occhi sono colmi delle notizie quotidiane di sbarchi sulle nostre coste, di naufragi, di morti che provengono da tutto il Mediterraneo ma anche da ovunque ci sia una guerra. È indubbio però che la prima migrazione di massa verso il nostro Paese provenisse dalla nostra dirimpettaia, l’Albania, un paese così vicino che se in giornate limpide ti siedi e guardi al di là del mare ne intuisci le coste.
Il viaggio che voglio raccontare dura un giorno intero: dal sorgere del sole alla tarda sera e e parla di partenze, di approdi e di storie di vita. Tutto questo avviene in luoghi diversi, di lancinante bellezza, spesso impervi, quasi da conquistare, dove si arriva con pullman e macchine, navette o a piedi. Nel primo di questi episodi Partenze quando non è ancora sorta l’alba che poi incendierà di rosso il cielo “loro” arrivano dal mare con una barca piano, con fatica e di fronte a noi che geliamo dal freddo come loro accompagnati da una musica che sembra una nenia raccontano brevemente la loro storia, perché sono lì, cosa si aspettano e sono storie di chi vuol lavorare davvero, di chi sceglie lo spaccio – si fanno i soldi in fretta –, di chi vuole fare la puttana.
Quello che ci inquieta, però, non sono le parole che dicono, ma il luogo in cui questo avviene: San Foca, di fronte all’Ex Cpt “Regina Pacis”, chiuso per indegnità quando si scoprirono i maltrattamenti, le violenze subite da uomini e donne che lì erano raccolti su istigazione del prete (don Cesare Lodeserto) che lo dirigeva e la violenza quotidiana dei suoi collaboratori, tutti giustamente puniti. Fra musiche e canzoni tutto ci appare con i contorni di una normalità violenta per poi acquietarsi in un lamento senza parole. E questi migranti con una mascherina a coprire la bocca e guanti di lattice alle mani dopo il sorgere del sole serviranno un caffè caldo agli infreddoliti spettatori che pazientemente – come un ideale contrappasso, sfilano davanti a loro.
Il secondo momento di questo coinvolgente racconto-spettacolo si svolge in un luogo magnifico dopo un viaggio non solo mentale, estetico, ma anche fisico: si attraversa infatti la pineta di Punta Selvaggia, vicino a Nardò, dove ci aspetta Approdi. È qui che alcune storie che nel precedente lavoro abbiamo intuito trovano la loro conclusione nel racconto di ragazze e ragazzi che stanno appesi agli alberi oppure spuntano da dietro i cespugli. Anche la pineta ha una sua storia: la grande estensione, la posizione unica, quel suo digradare verso il mare Ionio, aveva fatto nascere molti appetiti e propositi di cementificazione e di lottizzazione a cui si oppose con coraggio l’assessora Renata Fonte, che voleva difendere a tutti i costi questo parco naturale. Ci è riuscita sacrificando la propria vita, uccisa dalla mafia e giustamente viene ricordata da chi ci accompagna. Qui, sulla spiaggia, danzatori e danzatrici raccontano soprattutto con il corpo e il movimento l’approdo difficoltoso dei migranti, la morte di alcuni di loro, il loro buttarsi in acqua, il loro sparire mentre si intravvedono qua e là i resti di alcuni salvagenti, di inutili boe.
La bellissima cala di Acquaviva con il suo anfiteatro naturale rischiarata dai lampi notturni è il nostro ultimo approdo. Qui, su di un piccolo palcoscenico che galleggia sull’acqua Paola Roscioli racconta la storia vera di Lireta (Lireta –a chi viene dal mare è il titolo), ragazza albanese sfuggita ai maltrattamenti paterni, agli inganni e allo sfruttamento degli uomini e il suo viaggio verso l’Italia. La sua drammatica vicenda raccontata prima in un diario scritto in italiano nel 2012, finalista al Premio diaristico di Pieve di Sotto, oggi diventato un libro Lireta non cede pubblicato da Terre di mezzo, è il racconto della vita di una ragazzina e poi di una giovane donna diventata madre, in lotta per la sua vita contro un mondo maschile violento che tenta di fagocitarla e di distruggerla in ogni modo. È una storia esemplare, che si potrebbe definire un apologo di incessante, determinato, feroce coraggio vissuto da una piccola donna d’acciaio che la brava attrice rappresenta con umana profondità sull’onda della musica di Kurt Weill, misurata nella voce e nel gesto, accompagnata dalla musica suonata da Laura Francaviglio alla chitarra e da Samuele Riva al violoncello, appollaiati sopra un roccione a picco sul mare. Il dondolio del piccolo palco e la presenza di Paola Roscioli che si fa maschera e megafono delle crude vicende narrate da Lireta come del resto il senso di questo viaggio che ha coinvolto artisti professionisti, immigrati e volontari (promosso da Permar e Cool Club, sostenuto fra gli altri dall’Unione europea, dalla Regione Puglia, dal Teatro Pubblico Pugliese, dai Comuni coinvolti), che ha tenuto insieme il progetto di Mario Perrotta ce li ricorderemo per un pezzo.