L'ammore nun' è ammore

L’Ammore nun’ è ammore

Attore curioso, intelligente, Lino Musella interpreta i sonetti scespiriani tradotti da Dario Jacobelli nella lingua colta e popolare delle sue radici partenopee. Un atto d’amore. Ma l’amore esiste davvero?Maria Grazia Gregori


Conosco Lino Musella da molti anni, da quando, alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, lui era un allievo del corso attori e io una delle sue insegnanti. Fin da allora era curioso, intelligente, voleva conoscere, soprattutto “voleva farcela” pur fra sacrifici e difficoltà. Mi è capitato poi più volte di vederlo recitare in spettacoli in alcuni dei quali, forse, non si riconosceva e poi spesso in compagnia con il suo compagno alla Grassi Paolo Mazzarelli. Sempre generoso, impegnato e affascinato dalla nuova drammaturgia in lavori dove ci metteva spesso del suo. Ero curiosissima di vederlo in questa sua nuova prova: un corpo a corpo con un genio come Shakespeare, anzi addirittura con i suoi “misteriosi” sonetti, sulle cui origini si erano impegnati molti studiosi, dedicati alla famosa dama bruna che poi, forse, era una donna dello specchio che nascondeva un’identità maschile.

Mi incuriosiva, soprattutto, il sottotitolo di questuo suo spettacolo, L’ammore nun’ è ammore (visto al Teatro Parenti), che dice: 30 sonetti di Shakespeare tradotti e traditi da Dario Jacobelli. Si sa che in teatro dai “tradimenti” nascono spesso le cose più forti e interessanti. E allora… eccolo dunque in scena Lino Musella, presenza forte, quasi magnetica in una vestaglia da attore che si prepara, che riflette, che irride se stesso, che si muove nello spazio che ha popolato di luoghi significativi: una piccola rampa di scale, un tavolino da trucco con tanto di parrucca e altri oggetti che con Shakespeare hanno a che fare, a partire da un teschio in primo piano.

Un attore che si interroga, che si annuncia al buio con lo scoccare di una frusta. I sonetti che recita sono in lingua napoletana e tendono a ricreare Shakespeare non traducendolo parola per parola ma – se è possibile dirlo – reinventandolo nella lingua nobile dei vicoli, della passione carnale, che si rispecchia nel tradimento, nel desiderio, in questo caso nel rifiuto di possedere questa donna sfuggente e misteriosa di facili costumi.

Alle volte Musella, che ha montato, costruito e messo in scena questo spettacolo con molta intelligenza, si trasforma in donna mettendosi una parrucca ma ci appare non come la dama bruna ma come una malafemmina spelacchiata che inveisce per un amore, che pensa non corrisposto o in una specie di provocatore che, servendosi di un tubo di gomma, “recita” alle orecchie di alcune spettatrici e di uno spettatore un sonetto che sarà noto solo a loro, in una lingua splendente e dura che non lascia spazio a svenevolezze. Il tutto nell’Ammore nun’ è ammore, in questo assolo, accompagnato dalle musiche e dalla presenza scenica di Marco Vidino, spesso provocato al colloquio da Musella che talvolta intreccia con lui gustosi dialoghi, sulla sofferenza e sull’ambiguità di questo sentimento.

Musella, da parte sua, si mostra un attore che vuole confrontarsi con le sue radici, con la tradizione allo stesso tempo popolare e colta del teatro napoletano e con la sua storia, per esempio, riecheggiando alcune parole di una celebre canzone di Eduardo. Quello che ci racconta in vestaglia o in giacca da fine dicitore o in canottiera da guappo andando su e già per lo spazio scenico è che l’amore fa male sempre e comunque. Ma sarà poi vero che esiste sul serio?

Visto al Teatro Franco Parenti di Milano. Repliche fino al 3 febbraio 2019

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L’Ammore nun’ è ammore
con Lino Musella e Marco Vidino (cordofoni e percussioni)
regia Lino Musella
produzione Elledieffe, in collaborazione con Le vie dei Festival