L'Africaine, Teatro la Fenice

L’africaine, il fascino dell’esotico

Aver scelto quella di Meyerbeer come opera inaugurale della stagione lirica della Fenice di Venezia è stato un atto temerario in tempi di ristrettezze. L’esito felicissimo ha invece riportato all’attenzione un lavoro che i nonni dei nostri nonni conoscevano a menaditoDavide Annachini

Da diversi anni la Fenice di Venezia ha avviato con successo un’operazione di progressiva riproposta di grandi capolavori del teatro francese e di opere assai popolari sino a un secolo fa ma ormai quasi definitivamente scomparse. Vuoi per i mutati gusti del pubblico, vuoi per la maestosità delle messinscene richieste, vuoi per l’estrema difficoltà delle parti vocali, il Grand-Opéra che tanto caratterizzò il melodramma del secondo Ottocento sembra sopravvivere nel ricordo di titoli leggendari ma niente più. Aver scelto di conseguenza come opera inaugurale di stagione L’africaine, in occasione dei 150 anni dalla morte di Giacomo Meyerbeer, può essere sembrato addirittura temerario, soprattutto in tempi così difficili per i teatri lirici e così scarsi di grandi interpreti vocali. Al contrario la proposta ha avuto un esito felicissimo e ha riportato all’attenzione un lavoro per molti aspetti di notevole interesse, che i nonni dei nostri nonni conoscevano a menadito e che ora, al di là di alcune pagine molto belle e di altre forse meno, conserva un suo fascino e un innegabile impatto teatrale.

Ultima fatica della coppia Meyerbeer-Scribe, che furoreggiò a Parigi fissando con Robert le Diable, Les Huguenots e Le Prophète le più imponenti coordinate del Grand-Opéra, L’africaine ebbe un percorso faticoso e accidentato, al punto che dopo più di vent’anni di ripensamenti, pause e correzioni andò finalmente in scena nel 1865, quando però sia il musicista che il librettista erano morti senza poter apportare la rifinitura definitiva al lavoro. Forse anche per questo L’africaine risulta ancora più ridondante, complessa e incongrua rispetto agli altri Grand-Opéra, collezionando colpi di scena e rapporti tra i personaggi spesso ardui da seguire con un filo logico, a partire dalla stessa protagonista, spacciata per africana ma in realtà indiana. Il gusto per l’esotismo, che in Italia troverà di lì a poco la sua massima manifestazione con l’Aida di Verdi, qui non bada tanto alla fedeltà storica e geografica ma soprattutto al triangolo sentimentale in cui il celebre navigatore Vasco de Gama funge da oggetto conteso tra Inès, a sua volta destinata ad un importante esponente della corte portoghese, e Sélika, regina indiana a sua volta amata da Nélusko, insieme a lei ridotto in schiavitù. Più che un triangolo, quindi, un pentagono, che trova la sua quadratura – tra grandi coups de théâtre come il celebre naufragio della nave e il successivo arrembaggio dei guerrieri indiani nel terzo atto – con la fuga felice della coppia Vasco-Inès e il suicidio di Sélika e Nélusko sotto l’albero di manzaniglio, dal profumo inebriante quanto mortifero. Un bel polpettone in cinque atti, come volevasi dal pubblico parigino dell’epoca, di cui si può capire l’entusiasmo per l’inarrestabile fantasia e la forte teatralità di tante scene, oltre che per la suggestione di alcune pagine, come l’incantata aria di Vasco O Paradis, resa celebre da tutti più grandi tenori e che ancor oggi, nella generale titubanza nell’applaudire un’opera poco nota, fa esplodere tutto il teatro.

L’edizione veneziana non ha comunque vissuto sul successo di alcuni momenti ma sulla qualità professionale dell’insieme, che soprattutto sul piano vocale presentava forse quanto di meglio si poteva sperare per un’opera così ambiziosa. Gregory Kunde ha raggiunto nella sua estrema maturità tenorile un’ampiezza vocale e uno squillo degli acuti sorprendenti, al punto che il suo Vasco ha rinverdito la memoria dei grandi interpreti per lo slancio vibrante come per l’eleganza delle espansioni sentimentali, giustificando con la sua presenza la validità di questo recupero, possibile solo grazie alla disponibilità di un vero protagonista. Ma ideali sono state anche le due interpreti femminili, Jessica Pratt e Veronica Simeoni. Il soprano australiano è stata un’Inès di lusso, dai toni sognanti e flautati, con una vocalità di prim’ordine per lucentezza, intensità ed estensione, tutte gestite con sorprendente sicurezza e classe. Autentica rivelazione in un ruolo Falcon, in bilico tra soprano e mezzosoprano, è stata la Simeoni come Sélika, in cui ha fatto valere tutto il calore del suo bellissimo timbro di mezzo insieme ad acuti vibrantissimi, ad una sensibilità espressiva squisita, ad una suggestiva presenza scenica. Una prestazione da tenere a mente, ben affiancata anche dal Nélusko possente di Angelo Veccia, giustamente un po’ ruvido e introverso quanto aitante sotto il profilo scenico, e dalla valida presenza dei numerosi interpreti minori. Il tutto sotto la bacchetta di Emmanuel Villaume, talvolta tumultuosa ma anche capace di una certa suadenza, come di una sicura padronanza nei confronti di una partitura così frammentaria e difficile da tenere insieme, ben sostenuta anche dall’Orchestra e dal Coro della Fenice.

Leo Muscato, dovendo probabilmente fare di necessità virtù in un’epoca poco indicata a mettere in scena un Grand-Opéra, è riuscito nel generale minimalismo dell’allestimento (fatta eccezione per l’atto della nave, ricostruita a dovere) a confezionare uno spettacolo di indubbia suggestione, molto rispettoso della musica – che in un recupero come questo è ancor più protagonista del solito – e ben risolto anche nei quadri più complessi, grazie alle scene funzionali di Massimo Checchetto, ai bei costumi di Carlos Tieppo e alle luci determinanti di Alessandro Verazzi. Meno felici le proiezioni dei filmati di guerra che facevano da siparietto di atto in atto, in forzato contrasto con la cifra tradizionale della messinscena, e che intendevano probabilmente attualizzare quella condanna al colonialismo in cui lo stesso Meyerbeer  si era impegnato con quest’ultimo testamento artistico.

Visto al Teatro La Fenice di Venezia, il 1° dicembre 2013

Teatro La Fenice -"L'africaine", inizio Atto IV e aria "O paradis" (Vasco de Gama - Gregory Kunde)


L’Africaine

Opera in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe
Musica di Giacomo Meyerbeer
VASCO DE GAMA Gregory Kunde
SELIKA Veronica Simeoni
INES Jessica Pratt
NELUSKO Angelo Veccia
direttore Emmanuel Villaume
regia Leo Muscato
maestro del coro  Claudio Marino Moretti
scene Massimo Checchetto
costumi  Carlos Tieppo
luci Alessandro Verazzi
video Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice