Un ballo in maschera

L’Arena inaugura con Un ballo in maschera: elegante, forse fin troppo

L’opera verdiana apre la 101.ma stagione dell’anfiteatro veronese. Regia classicamente lineare di un maestro come Pier Luigi Pizzi, direzione del giovane ma già “emerso” Andrea Battistoni. Di qualità ma poco passionale la performance dei cantantiDuccio Anselmi

Un ballo in maschera con cui si è inaugurata la centunesima stagione dell’Arena di Verona rappresentava la novità di quest’anno: opera bellissima ma di scarsa frequentazione al festival, era anche l’unico allestimento nuovo tra le tante riprese, per lo più monopolizzate dalla firma di Franco Zeffirelli.

In quest’occasione è tornato sul palcoscenico areniano un grande maestro come Pier Luigi Pizzi, che ha realizzato uno spettacolo di classica linearità, impostato su tre padiglioni ruotanti a colonne in stile bostoniano e posticipato nell’epoca a un Settecento illuminista, dalle linee raffinate e misurate. Bellissimi i costumi, giocati sul nero, il bianco e il rosso, e sobrie le soluzioni registiche, limitate a pochi effetti nei momenti strategici dell’opera, fuochi d’artificio compresi. Una messinscena decisamente nella tradizione, che sembrava voler riportare lo spettacolo areniano entro i binari della classicità, dopo le esperienze alternative dell’Aida de La Fura dels Baus e del Roméo et Juliette di Francesco Micheli, anche quest’anno in cartellone.

La visione di Pizzi vedeva nella figura del protagonista – Riccardo, generoso governatore di Boston, ucciso durante un ballo mascherato dal fedele amico Renato per il sospetto di aver insidiato sua moglie Amelia – un eroe preromantico, per la passione e l’animosità del suo agire come per la malinconia del suo sentimento, nobile e impossibile. Da qui la lettura in chiave illuminista, che bandiva dall’opera qualsiasi citazione esplicitamente tenebrosa, come nel caso dell’antro della maga Ulrica che di sinistro conservava ben poco, nel presentarsi come un salotto di belle dame in attesa dei vaticini della veggente, o come il famoso “orrido campo” del secondo atto, trasformato in un elegante giardino cimiteriale, con quei cipressi che facevano tanto Isola dei morti di Böcklin.

Forse a mancare era alla lunga proprio la nota passionale, culminante nello splendido duetto d’amore e in tutti i momenti destinati al tenore, frenata da una recitazione di grande compostezza e da interpreti scenicamente non travolgenti. Francesco Meli è tenore dalla voce bellissima e dal canto aristocratico, sorretto da una dizione sempre spiccata e incisiva. Ideale quindi vocalmente per un ruolo come Riccardo, se solo i suoi acuti suonassero più schietti e squillanti, invece di risultare faticosi e “indietro”, e se solo l’interprete apparisse meno compassato. Anche il soprano Hui He ha dimostrato di possedere una vocalità adatta alla parte insidiosa di Amelia: rotonda, morbida e in quest’occasione più accurata nell’intonazione. Ma il fraseggio non ha lasciato il segno e di conseguenza i momenti migliori sono stati quelli più intimi rispetto agli slanci drammatici, un po’ inerti quanto a scolpitezza. Un baritono di belle qualità vocali come Luca Salsi ha risposto al ruolo di Renato con slancio e ampiezza ma anche con qualche concessione di troppo alla stentoreità di tradizione areniana, perdendo di vista qualche sfumatura in più che non avrebbe guastato. L’Ulrica di Elisabetta Fiorillo ha ostentato un registro di petto imponente, a discapito però del resto della voce, che sembrava un mare in tempesta per disuguaglianze di registro e note oscillanti. Detto questo, il personaggio comunque si imponeva per autorità e presenza, come d’altro lato si è imposto l’eccellente Oscar di Serena Gamberoni, rivelazione della serata, per la vocalità di autentico soprano lirico in grado di dominare i concertati e di depurare il ruolo dalle leziosità di maniera, e per la brillante disinvoltura scenica, spinta sino alla prodezza di un’atletica ruota alla fine della sua aria. Tra le parti minori, non tutte impeccabili, va segnalato almeno il nitidissimo Silvano di William Corrò.

Dirigeva il giovane ma più che emergente maestro veronese Andrea Battistoni, che ha confermato sicurezza e personalità, anche se l’esecuzione ha risentito di qualche scollamento tra buca e palcoscenico – a causa forse di una prova generale saltata per la pioggia – e di un’eccesiva dilatazione dei tempi, che probabilmente hanno dovuto fare i conti con la stringatezza dei cambi di scena verdiani, incompatibili con gli sconfinati spazi areniani. Una prova che quindi potrà essere messa più a fuoco nel corso delle repliche.

L’inaugurazione, salutata da una buona presenza di pubblico e da un caloroso successo, ha dato il via a una stagione spalmata su quasi quattro mesi, che vedrà alternarsi alcuni dei titoli più popolari, quali Carmen, Turandot, Madama Butterfly e l’immancabile Aida (in due allestimenti diversi), oltre a Roméo et Juliette di Gounod, Carmina Burana, gala di Domingo e di Bolle, per un totale di cinquanta e più serate sotto le stelle.

Visto all’Arena di Verona il 20 giugno 2014. Repliche il 27 giugno, 11, 19, 2, 31 luglio e 8 agosto 2014

Un ballo in maschera
Melodramma in tre atti
Libretto di Antonio Somma
Musica di Giuseppe Verdi

Riccardo, Francesco Meli
Renato, Luca Salsi
Amelia, Hui He
Ulrica, Elisabetta Fiorillo
Oscar, Serena Gamberoni
Silvano, William Corrò
Samuel,Seung Pil Choi
Tom, Deyan Vatchkov
Un giudice, Antonio Feltracco
Un servo di Amelia, Saverio Fiore

direzione Andrea Battistoni
regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
coreografia Renato Zanella
lighting designer Vincenzo Raponi
maestro del Coro Armando Tasso
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo dell’Arena di Verona

Un commento su “L’Arena inaugura con Un ballo in maschera: elegante, forse fin troppo

  1. NON SONO IN GRADO DI GIUDICARE SE NON L’ULTIMA DELLE REPLICHE DEL BALLO IN MASCHERA ARENIANO 2014 A CUI ERO PRESENTE E CHE E’ CONSISTITA NELLA PEGGIORE OPERA LIRICA RAPPRESENTATA A VERONA DA QUANDO CI VENGO (LA PRIMA VOLTA A 16 ANNI ORA NE HO 62).DUE BILGIETTI COMPRATI L’ANNO PRECEDENTE “SULLA FIDUCIA” PER 240 EURO CI HANNO PERMESSO DI ASCOLTARE SOLTANTO UN TENORE CHE NON ARRIVAVA ALLA TERZA FILA DI PLATEA (NOI ERAVAMO ALLA 21ESIMA) OLTRE AD UNA STECCA CLAMOROSA DELLA SOPRANO ALL’ACUTO FINALE DEL DUETTO D’AMORE PIU’ BELLO CHE ABBIA SCRITTO VERDI ED UNA ORCHESTRA STANCA,SERRATA E CON INTERLUDI GESTITI DA FANFARA DEI BERSAGLIERI.HO UN CONSIGLIO DA DARE AI RESPONSABILI:APRITE YOUTUBE E GUARDATEVI ATTENTAMENTE LA STESSA OPERA INTERPRETATA DA PAVAROTTI,CAPPUCCILLI E ABBADO NEL 1978 ALLA SCALA.VERONA DEVE GARANTIRE QUALITA’ ALTRIMENTI NON E’ PIU’ VERONA