C’è un un ignoto conflitto i cui sinistri echi – sempre più vicini – vengono trasmessi da una radiolina a transistor in “La prima cena” di Michele Santeramo, recente premio Hystrio: ma i commensali di questa acre commedia sembrano troppo intenti a dilaniarsi fra loro per avere il tempo e la voglia di occuparsene – Renato Palazzi
Ha da poco pubblicato un romanzo. Ha appena vinto il premio Hystrio per la drammaturgia. Ha debuttato di recente con un nuovo testo teatrale in un festival importante come Primavera dei Teatri: non c’è dubbio che Michele Santeramo sia, per tanti versi, uno degli autori italiani di maggiore spicco del momento, e con pieno merito: ha un’innata capacità di catturare l’attenzione dello spettatore con delle storie di forte presa, riesce a rispecchiare degli stati d’animo, degli umori di oggi senza piegarsi alla facile attualità. Da attore, quale egli stesso è, ha inoltre saputo mettere a punto un linguaggio scarno, basato su dialoghi svelti e incalzanti, su scambi di battute dal ritmo serrato, sempre a metà fra il sorriso e il graffio, perfettamente adatti a essere usati in palcoscenico.
Anche La prima cena, la commedia presentata con buon successo a Castrovillari, pur con qualche componente che ancora va calibrata, è parsa rispondere a queste caratteristiche, benché il suo tono di fondo suoni più livido e feroce di quanto fosse nelle opere precedenti. L’idea di partenza, come già quella del Guaritore, nella scorsa stagione, potrebbe far pensare a certe farse amarognole di Eduardo: un padre morto ma ancora dispettosamente autoritario, le cui disposizioni testamentarie – una cena da tenersi nel suo appartamento, un mese dopo la sepoltura, nel corso della quale si dovrebbe assegnare un’ignota eredità – sembrano pensate apposta per aizzare gli uni contro gli altri i tre odiati figli, portando a galla un groviglio di insanabili rancori.
Ai pessimi rapporti reciproci fra i rampolli – due uomini e una ragazza – si aggiungono quelli fra ciascuno di loro e i rispettivi coniugi, ugualmente convocati nel non idilliaco convivio: un piccolo campionario di unioni soffocanti, di convivenze fondate soltanto sulla possibilità di maltrattarsi e di ferirsi a vicenda, sul filo di una crudeltà spinta fino ai limiti della violenza fisica. Le cose più gentili che si dicono gelidamente fra loro sono del tipo «perché stai con me?» – «per pigrizia», o «io ti voglio bene, ma così, perché sono abituato ad averti accanto». Nel corso dell’azione scopriremo che le due mogli o stanno per andarsene con un altro uomo o comunque non vogliono saperne di tornare a casa col marito.
Se il clima all’interno delle varie coppie è questo, non molto migliori risultano le relazioni fra il defunto genitore e i suoi torvi discendenti: la ragazza, ad esempio, non fa che ripetere con agghiacciante franchezza «volevo solo vederlo freddo e disteso, e gliel’ho detto». E il vecchio, nel testamento, specifica a chiare lettere che «se potessi tornare indietro, probabilmente eviterei di avere dei figli». Insomma, un bel quadretto famigliare dove tutti sono contro tutti, e che fatalmente è destinato a peggiorare a causa della trovata del morto, che lascia loro – anziché la somma sperata – una scatola piena di biglietti del gratta e vinci da dividere, con l’ulteriore complicazione che uno di questi, l’unico forse redditizio, viene fatto misteriosamente sparire.
Santeramo, in sostanza, attraverso questa galleria di mostriciattoli senz’anima – non i grandi malvagi della storia, ma le meschine escrescenze della vita di ogni giorno – sembra tracciare il ritratto sconsolato di un momento della nostra coesistenza collettiva dominato dai veleni e dagli impulsi ciecamente aggressivi, il riflesso di un’epoca fatta solo di contrasti e divisioni. E una guerra, sullo sfondo, a quanto pare c’è davvero, un ignoto conflitto i cui sinistri echi – sempre più vicini – vengono trasmessi da una radiolina a transistor: ma i commensali de La prima cena sembrano troppo intenti a dilaniarsi fra loro per avere il tempo e la voglia di occuparsene.
Questo aspetto degli imprecisati combattimenti in corso fuori dalla stanza ha un’evidente funzione simbolica, ma così come viene suggerito resta piuttosto marginale, poco risolto, ancora bisognoso di un’ulteriore messa a fuoco. Lo stesso vale, in qualche modo, per il finale, quello in cui si svela la sorte del biglietto sottratto, un finale che dovrebbe essere aperto ma è soltanto un po’ monco, come per un’intrinseca difficoltà a trovare un’adeguata conclusione. Per il resto, Santeramo innesca un meccanismo inesorabile, un piccolo gioco al massacro che non lascia un attimo di tregua, se non per alcune parentesi oniriche in cui si vedono le varie coppie com’erano un tempo, o come sarebbero potute essere se i loro destini avessero preso una piega diversa.
L’attenta regia di Michele Sinisi bada soprattutto a trasmettere sensazioni di disagio, rendendo l’insieme ancora più algido e scostante: ciò è evidente specialmente nelle caratterizzazioni dei personaggi, che – pur avendo dei tratti sostanzialmente realistici – sono delle caricature sottilmente esasperate, macchiette truci, sgradevoli, tutte con un che di rigido, di innaturale negli abiti o nei gesti, in definitiva di vagamente disumano, in linea con l’ambiente vuoto, desolatamente inaccogliente. Gli interpreti, Mauro Barbiero, Silvia Benvenuto, Anna Dimaggio, Matias Endrek, Alberto Ierardi e Silvia Rubes, provenienti da laboratori per attori toscani istituiti dal Teatrino dei Fondi-Titivillus, che produce lo spettacolo, li tratteggiano con feroce precisione, cavandosela egregiamente.
La prima cena
regia Michele Sinisi
con Mauro Barbiero, Silvia Benvenuto, Anna Dimaggio, Matias Endrek, Alberto Ierardi e Silvia Rubes
scenografie Federico Biancalani
tecnica Angelo Italiano
assistente alla regia Rosa Iacopini
organizzazione Serena Genero
comunicazione e grafica Cristiano Minelli e Gabriel Storher
direttore di produzione Enrico Falaschi
produzione Teatrino dei Fondi residenza artista di San Miniato
con il sostegno della Regione Toscana