Sontuoso cast per Il Trovatore arenianao ancora nel nome di Zeffirelli. Primeggia Anna Netrebko, creatrice di autentiche magie. – Davide Annachini
A una settimana dalla Traviata inaugurale, l’Arena di Verona è tornata a far parlare di sé sempre nel nome di Verdi con Il Trovatore e di nuovo nel nome di Franco Zeffirelli, con il suo collaudatissimo allestimento che può essere ricordato come il più riuscito di tutta la sua considerevole esperienza areniana. L’attesa era però concentrata sulla presenza eccezionale di Anna Netrebko, star assoluta del momento, al suo debutto in Arena a fianco del marito Yusif Eyvazov impegnato nel ruolo del protagonista. Inutile sottolineare come la più famosa coppia operistica abbia rappresentato un colpo grosso per il festival veronese, che grazie alla sovrintendente Cecilia Gasdia sta recuperando in questi ultimi due anni quel circuito di grandi voci un tempo di casa all’ Arena. Ma non si è trattato solo di un omaggio alla diva, quanto di un’edizione da ricordare tra le più emozionanti delle ultime stagioni.
Certamente la parte del leone se l’è guadagnata a pieni meriti il soprano russo con la sua voce sontuosa per ampiezza, colore brunito, perfetta omogeneità e soprattutto rotondità e morbidezza. Forse la tendenza – tipica della scuola russa – di gonfiare i centri e i gravi può sembrare eccessiva in un ruolo come quello di Leonora, estatico e lunare, per il fatto di renderlo fin troppo matronale, con il rischio inoltre di appesantire la voce e di renderla più problematica nella gestione dei fiati. Ma la capacità nel registro acuto di giocare su pianissimi alati e dolcissimi, in grado di espandersi in tutto l’anfiteatro, ha dato modo alla Netrebko di creare oasi di autentica magia, come nel caso di “D’amor sull’ali rosee”, un incanto di suoni purissimi e di struggente lirismo, capace di sospendere il respiro di quindicimila spettatori in un silenzio irreale prima dell’esplosione finale. Sicuramente quest’aria ha rappresentato il vertice di un’interpretazione straordinaria e uno dei momenti memorabili nella storia del festival, al punto da scomodare ricordi lontani decenni nel tempo.
Per Eyvazov il discorso è opposto: voce non bella di natura, in quanto tendenzialmente gutturale e disomogenea, quella del tenore azero ha però dalla sua un’impostazione tecnica ragguardevole, che ne garantisce proiezione, duttilità, estensione, accompagnata a una qualità di interprete interessante, per la dizione chiarissima, il fraseggio persuasivo, l’intelligenza espressiva. Il suo Manrico si è imposto per incisività e sensibilità, insieme ad una prestanza scenica che l’ha visto persino montare a cavallo – a fianco della sua Anna – e cantare. nel prendere la fuga alla fine del secondo atto. Prestanza sfoggiata anche sul piano vocale al momento della famosa “Pira”, la cabaletta temuta da tutti i tenori per i due do acuti imposti dalla tradizione, al punto da costringerli a ripiegare spesso e volentieri per l’abbassamento della tonalità. Eyvazov non solo l’ha affrontata in tono, ma persino con il “da capo”, arrivando quindi a lanciare addirittura tre do sicuri, squillanti e – nell’eroico “all’armi” finale – a perdifiato. Un momento teatrale travolgente (come non rievocare la scena iniziale di Senso di Visconti?) che ha scatenato l’entusiasmo del pubblico, disabituato a prodezze del genere.
Per il resto questo Trovatore elencava il Conte di Luna di Luca Salsi, che, nel vantare una voce baritonale tra le più ricche in circolazione, in quest’occasione forse ha preferito esibirla con fin troppa esuberanza, privilegiando un canto sempre a pieni polmoni, più stentoreo che espressivo, più a effetto che rifinito. Detto questo la sua presenza di lusso ha dato man forte a un cast di prestigio, in cui anche la partecipazione di Dolora Zajick – Azucena di consumata esperienza – ha fatto valere quello che resta di una voce granitica di mezzosoprano, dal registro grave possente ma ora impoverita nel centro e in alto, dove comunque l’esperienza e l’abilità hanno avuto la meglio nel restituire un personaggio di grande incidenza drammatica. Ottimo il Ferrando di Riccardo Fassi, giovane basso di voce suggestiva, intensa e precisa nell’esecuzione, e da segnalare lo scolpito Ruiz di Carlo Bosi e l’efficace Ines di Elisabetta Zizzo.
Pier Giorgio Morandi ha diretto concedendo molto al canto e ai cantanti, soprattutto nella scelta piuttosto dilatata dei tempi, senza perdere di vista però la tenuta dell’insieme, con una sicura risoluzione dei momenti corali e dei finali d’atto. Encomiabile poi la decisione di riaprire i tagli di tradizione (come ad esempio i “da capo”), esperienza rara da ascoltare nelle esecuzioni all’aperto, e di inserire le danze tratte dalla versione francese dell’opera, affidate alle coreografie de El Camborio riprese da Lucia Real. Valide le prove dei complessi areniani.
Ferrigno e monumentale, lo storico allestimento di Zeffirelli (costumi non indimenticabili di Raimonda Gaetani) ha riconfermato uno spettacolo di tipica tradizione areniana, dai colpi di scena a effetto – come l’apertura a sorpresa della dorata cappella gotica nella tetra torre medievale, capace di strappare immancabilmente l’applauso – alle coloratissime scene gitane e ai combattimenti disegnati dal maestro d’armi Renzo Musumeci Greco.
Successo ovviamente travolgente e repliche con lo stesso cast ancora il 4 e 7 luglio.
Visto all’Arena di Verona il 29 giugno 2019