L’impatto teatrale innegabile dello spettacolo e la bontà dell’esecuzione musicale hanno garantito un successo incondizionato alla Tosca milanese, ma il forfait anticipato di Anna Netrebko ha contribuito nelle recite successive a ridimensionare le pur molte luci dell’edizione firmata Chailly-Livermore – Davide Annachini
È stata una Tosca con tutti i crismi per un’inaugurazione del 7 dicembre quella andata in scena alla Scala di Milano: una star protagonista come Anna Netrebko, la garanzia di un illustre interprete pucciniano al podio come Riccardo Chailly, un’edizione critica approntata per l’occasione, un allestimento di una spettacolarità ormai rara a vedersi ai giorni nostri, la diretta televisiva in numerosissimi paesi del mondo. Non ultimo il grande successo riscosso da questa edizione, cosa non del tutto scontata per una prima scaligera.
Alla sesta replica qualcosa era già cambiato, soprattutto in seguito al forfait per indisposizione della Netrebko dopo la quarta recita, alla quale era subentrata, in anticipo sulle già previste rappresentazioni di gennaio, Saioa Hernandez, rivelazione nell’Attila inaugurale del Sant’Ambrogio 2018. Ma anche il riscontro teatrale ha ridimensionato le molte luci di un’edizione che aveva tra le prerogative quella di imporsi come una Tosca di riferimento.
La stessa edizione critica curata da Roger Parker si limitava in realtà a recuperare quei pochi frammenti presenti nella stesura originale della partitura, per la prima assoluta al Costanzi di Roma nel 1900, forse già eliminati o spostati dallo stesso Puccini prima di andare in scena e comunque ininfluenti nel restituire una versione davvero diversa da quella normalmente conosciuta. Piuttosto – al di là della pura curiosità – questa ricostruzione filologica sembrava al contrario esaltare una volta di più l’incomparabile talento teatrale dell’autore, capace di sfrondare e di assestare il superfluo ai fini della migliore resa drammatica del suo lavoro.
Riccardo Chailly, promotore di queste operazioni di recupero sugli originali pucciniani, ha fatto valere la sua completa adesione all’autore e a un’opera come Tosca facendo vibrare tutte le corde della narrazione, dall’espansione lirica al crescendo drammatico, dall’imponenza sonora in cui si esprime l’inesorabilità del potere alle tinte pastellate dell’alba romana, con grande ricchezza coloristica e con particolare attenzione al fraseggio musicale, all’interno di un’interpretazione fortemente scolpita e di sicuro effetto teatrale. Gli eccellenti complessi scaligeri – in grandissima forma l’orchestra e impeccabile il coro, insieme alle voci bianche, preparato da Bruno Casoni – hanno garantito il livello dell’esecuzione, che sotto questo profilo ha messo in luce i pregi migliori della Tosca milanese.
Il cast da parte sua, anche in assenza della Netrebko, vantava una sicura solidità, più sul piano vocale che su quello interpretativo, però, Saioa Hernandez – avvezza a parti ben più onerose come Abigaille, Odabella, Gioconda – ha sostenuto la parte con ammirevole franchezza, anche negli acuti più scoperti e a dispetto delle bordate orchestrali che avrebbero sommerso più di un soprano al suo posto. Ma risulta difficile ricordarla come una Tosca memorabile, vuoi per il timbro non particolarmente prezioso e sensuale vuoi soprattutto per una carenza di analisi nel fraseggio e di un’allure da autentica primadonna, che altre cantanti, magari meno dotate vocalmente, hanno saputo far valere in una parte come questa, destinata a vere cantanti-attrici. Soprattutto nel secondo atto, banco di prova per ogni grande Tosca, la sua interpretazione non ha lasciato veramente il segno, risultando quasi intimidita e fin troppo contenuta, quanto piuttosto inerte in alcune frasi decisive. Francesco Meli come Cavaradossi è risultato più convincente, ma ancora per puri meriti vocali. La sua, come si sa, è una magnifica voce di tenore squisitamente lirico – pastosa, dolce, intensa – portata troppo spesso però a cimentarsi con parti spinte se non addirittura drammatiche. Quella del pittore rivoluzionario gli torna a pennello nelle grandi espansioni amorose, dove la bellezza del timbro e la chiarezza della dizione hanno modo di figurare al meglio, al di là di certe mezzevoci poco proiettate sul fiato e vagamente “a sbadiglio”, come si dice in gergo. Nei grandi slanci drammatici riemergono i soliti problemi sugli acuti – mancanza di squillo e fibrosità dovute ad un certo sforzo – qui però in misura meno evidente del solito. Anche per lui comunque, nonostante la professionalità con cui è stato preparato il ruolo in ogni dettaglio, è venuta a mancare l’incisività del personaggio, aitante, impavido, fascinoso, in grado di tenere testa agli altri due componenti del triangolo protagonistico. Forse per questo lo Scarpia di Luca Salsi si è imposto senza troppi problemi, in virtù di una voce solida, omogenea, potente, sicuramente tra le più sane tra quelle baritonali in circolazione, e forse per questo elargita senza risparmio. La sua interpretazione di conseguenza è sembrata più guardare al cliché tradizionale di uno Scarpia terribile e truculento più che aristocratico e perfidamente sottile, anche in quei tentativi di un fraseggio più analitico che sono sembrati in definitiva scollati e artefatti rispetto al resto dell’interpretazione. Di buon livello il resto del cast, che elencava il Sagrestano molto giocato sulla parola di Alfonso Antoniozzi, lo Spoletta eccellente di Carlo Bosi, l’Angelotti sofferto di Carlo Cigni, lo Sciarrone di Giulio Mastrototaro, il Carceriere di Ernesto Panariello, il Pastorello di Gianluigi Sartori.
A riconferma della buona riuscita dell’Attila dell’anno passato, è stato richiamato Davide Livermore come regista di questa Tosca, allestita con una messinscena fastosa, giustamente barocca e tragica per la monumentalità cupa e incombente di una Roma prevalentemente in bianco e nero. Architetture imponenti (firmate da Giò Forma), largo uso di effetti video (di D-Wok), luci taglienti (di Antonio Castro) e uno sfoggio di tutte le risorse scenotecniche offerte dal palcoscenico scaligero, con pedane girevoli e sollevabili, hanno però spinto Livermore, regista intelligente e profondo conoscitore dell’opera, a lasciarsi prendere la mano in un horror vacui spesso eccessivo e confuso, con alcuni scivoloni di gusto non irresistibile. Come nel caso del Te Deum, con quel corteo speditissimo di cardinali tutti affannati a reggere la rotazione incessante della scena e con quel gigantesco ostensorio dorato con tanto di scoppio di candele sul fortissimo orchestrale, o come nella scelta di non far precipitare Floria da Castel Sant’Angelo, quanto di elevarla redenta al cielo tra bagliori laser come un’Assunta spaziale. Gli stessi costumi del pur bravo Gianluca Falaschi non sempre hanno servito al meglio il personaggio, nel caso ad esempio di un infagottato Cavaradossi e soprattutto di una Tosca senza uno stile preciso, abbottonata come una severa direttrice di collegio al primo atto e rivestita di un tricolore al secondo, con tanto di braccia scoperte, che, come si sa, in una cantante lirica non sono solitamente il particolare da mettere maggiormente in luce.
Detto questo, l’impatto teatrale innegabile dello spettacolo e la bontà dell’esecuzione musicale hanno garantito un successo incondizionato alla Tosca milanese, in linea con le più faraoniche inaugurazioni scaligere.
Visto al Teatro alla Scala di Milano il 22 dicembre 2019. Repliche fino all’8 gennaio 2020. Foto © Brescia/Amisano – Teatro alla Scala
Tosca
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore – Riccardo Chailly
Regia – Davide Livermore
Scene – Giò Forma
Costumi – Gianluca Falaschi
Luci – Antonio Castro
Video – D-wok
CAST
Tosca – Anna Netrebko (Saioa Hernández 19 e 22dic., 2, 5, 8 gen.)
Cavaradossi – Francesco Meli (Otar Jorjikia 16 dic.)
Scarpia – Luca Salsi
Angelotti – Carlo Cigni
Sagrestano – Alfonso Antoniozzi
Spoletta – Carlo Bosi
Sciarrone – Giulio Mastrototaro
Carceriere – Ernesto Panariello
Pastore – Gianluigi Sartori
Durata spettacolo: 3 ore inclusi intervalli
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
PRIMO ATTO 45 minuti / Intervallo 30 minuti / SECONDO ATTO 45 minuti / Intervallo 30 minuti / TERZO ATTO 30 minuti