La forza della danza alla Scala? I suoi talenti

Il trittico proposto in questi giorni dal Corpo di Ballo della Scala conferma una nuova generazione di talenti e la necessità di investire su di loro, anche in creazioni. Come quella, intensa e drammatica firmata da Eugenio Scigliano Silvia Poletti

Chiusa al momento la pratica nuovo management Aterballetto con la prevista nomina di Pompea Santoro a direttore artistico della compagnia emiliana, resta sul tavolo il dossier scaligero, che da ottobre scorso vede – ad interim – Frederic Olivieri, direttore della Scuola di Ballo, assumersi le responsabilità della compagnia. Il sovrintendente Pereira ha più volte annunciato lo svelamento di un nuovo direttore: prima a febbraio, poi a fine aprile, e infine (forse?) il 31 maggio, quando la nuova stagione del teatro verrà svelata al pubblico (due anticipazioni: un pimpante Corsaire, versione American Ballet Theatre per i giovani, numerosi talenti della compagnia e il ritorno del capolavoro di Neumeier La Dame aux Camélias per la quale confidiamo in un nuovo colpo da maestro di Olivieri, Alessandra Ferri nel ruolo con cui salutò la Scala e che, dopo Marcia Haydée, per l’autore ha reso irripetibile).

Olivieri che è uomo pratico e intelligente continua intanto il suo lavoro (sappiamo che già si sta muovendo sul 2018/19 con un progetto davvero prestigioso) e porta a conclusione questa stagione anodina ideata a suo tempo da Mauro Bigonzetti e di cui il trittico di cui stiamo per parlare fu l’esempio più eclatante. Senza un filo tematico reale, rimpolpata in corsa dallo smagliante classicismo del Balanchine di Symphony in C per ovviare alla brevità e soprattutto aprioristicamente rafforzarne la spettacolarità e qualità, la serata poggiava infatti su una nuova creazione di un coreografo italiano – Shéhérazade di Eugenio Scigliano – e una nuove versione di La Valse in un complesso progetto a sei mani affidato a tre danzatori scaligeri alle prime prove coreografiche (Stefania Ballone, Matteo Gavazzi e Marco Messina). Unico trait d’ union la rinomata bacchetta di Paavo Järvi, per altro a tratti non particolarmente degna della fama in una serata così musicalmente affascinante con pagine come quelle di Ravel, Bizet e Rimskij Korsakov.

Principale occasione di interesse dell’intera serata era la Shéhérazade di Scigliano. Innanzi tutto perché si tratta di creazione, appunto. E proprio di un maggiore lavoro creativo avrebbero sempre più bisogno i ballerini scaligeri per far fiorire appieno personalità teatrali che già si percepiscono piene di promesse. Poi perché l’approdo al palcoscenico scaligero è un punto importante nel personale percorso di Scigliano, che nel corso degli anni da autore ha rivelato una capacità non così consueta di descrivere con acume e sensibilità le intime fragilità e paure dell’universo femminile, il suo bisogno di amore, la sua incondizionata capacità di darsi. In questo senso fa testo soprattutto la sua applaudita versione di Giselle, di cui in fondo è ‘sorella’ in sentimento questa Zobeide, la protagonista di Shéhérazade che il coreografo mutua dal libretto di Benois per i mitici Ballets Russes di Diaghilev ma che rilegge a modo suo.

Ovvero non più lussuriosa ‘mantide’ pronta a farsi possedere dallo Schiavo d’Oro Nijinsky nel magnifico harem dai mille colori ideato da Leon Bakst attraverso una danza di languori erotici firmata da Fokine; piuttosto una creatura imprigionata e sgomenta, che proprio nell’amore vero con lo Schiavo d’Oro – fatto di tenerezze struggenti, abbracci trattenuti e malinconici, abbandoni e carezze che fanno scivolare l’uno sull’altra i corpi dei due amanti – trova un momento di luce nell’oscurità e nell’angoscia della prigionia cui la costringe la condizione di ‘favorita’.

Scigliano punteggia di dettagli espressivi una danza comunque dinamica e atletica: e proprio quei dettagli – gli sguardi inorriditi di Zobeide che si aggira tra le vittime della vendicativa carneficina, i lunghi capelli usati come capestro a indicare prima una condizione di coercizione insopportabile, poi lo strumento vero di morte; il ‘fermo immagine’ dei due amanti addormentati in un abbraccio sul finire del duetto, mentre la sinuosa musica di Korsakov continua in crescendo – sono la forza emozionale del lavoro.

Il quale scorre nitido nella drammaturgia e nella resa coreografica e offre a Virna Toppi, la protagonista della prima, un ruolo dove primeggiare con impressionante sensibilità; così come ai tre interpreti maschili – lo Schiavo Nicola del Freo, il sultano Gioacchino Starace e il suo vendicativo fratello Marco Agostino – di tratteggiare con un forte attacco virile le diverse coloriture dei personaggi. La pertinente rilettura di Scigliano – che fa ovviamente riferimento ai soprusi sulle donne di tutti i tempi e culture (cui può contrastare solo l’obbedienza, come ci ricorda la Shéhérazade del titolo, salva solo perché obbediente e per questo letteralmente imprigionata nel burqa di metallo ) – regala come dicevamo ottima occasione ai solisti per rivelare una interessante personalità, capace di reggere la tensione teatrale e padroneggiare la scena nonostante l’insistita oscurità di un impianto scenico e di luci a firma Carlo Cerri che rischierebbe altrimenti di appiattire tutto.

Non si può dire lo stesso per La Valse, dove pure c’è l’elegante coppia Montanari/Agostino a guidare una coreografia che – fatta come dicevamo a sei mani – risulta comunque omogenea, seppure inevitabilmente ‘anonima’ nello stile e nello specifico linguaggio coreografico. Anche qui colori cupi e costumi art decò che però – nel loro eccessivo descrittivismo – appesantiscono invece che alleggerire il già complicato lavorio coreografico.

Incastonato tra le due novità Symphony in C di Balanchine è invece un tripudio di inventiva coreografica che riconnette al mondo pietroburghese da cui il russo era partito e procede avanti, nelle direzione di Petipa – come gli aveva ben insegnato il suo sfortunato maestro Fjodror Lopukhov. Quattro tempi per quattro coppie e corpo di ballo, con il celebre adagio lirico e imponente che prelude a Diamonds di Jewels. Una meraviglia. E una meraviglia vedere a capo di un corpo di ballo gioioso e curatissimo la nuova generazione di stelle milanesi: Nicoletta Manni, con Roberto Bolle impeccabile partner nell’adagio; ancora Virna Toppi svettante con l’aereo Claudio Coviello; l’autorevole Martina Arduino con il fascinoso Timofej Andrjiashenko e la vivace coppia Vittoria Valerio e Marco Agostino. Artisti su cui si deve costruire il futuro.

Visto il 19 aprile 2017. Altre repliche con vari cast: 4, 10, 11, 13 maggio 2017. Nella foto Virna Toppi e Gioacchino Starace, Shéhérazade. © M.Bragagnoli

La Valse/Symphony in C/Shéhérazade
Corpo di Ballo della Scala, Teatro alla Scala, Milano