I giganti della montagna, regia G. Lavia

I giganti della montagna

Gabriele Lavia porta in scena il testo incompleto di Pirandello memore ma distante dell’allestimento che ne fece Strehler. Vestendo i panni del mago Cotrone, sembra una specie di Prospero che tiene saldamente in mano la bacchetta del teatro, compresa la sua numerosa compagnia, tutta di buon livelloMaria Grazia Gregori


I giganti della montagna, ultimo testo, incompleto, di Pirandello, con Gabriele Lavia che ne firma la regia interpretando anche il ruolo di Cotrone, il capo degli Scalognati, si rappresenta in un teatro che cade a pezzi, addirittura sventrato, sul fondo, coperto da un lenzuolo, luogo delle apparizioni dei personaggi ma anche fragile difesa – per questi morti viventi che sono i suoi compagni e per lui stesso – dalla vita di fuori. Una specie di sipario ai quattro venti per proteggere la poesia dal mondo esterno, mondo ottuso, materiale, violento dove i protagonisti sono proprio quelli che non vedremo mai, i giganti del titolo, di cui sentiremo alla fine il pesante passo che si avvicina. Va da sé che nel mondo del suo tempo l’autore vivesse il teatro come ultima zattera della poesia e forse anche di se stesso, come ultimo spazio libero nell’ottusità e nella violenza dei tempi in cui scriveva e ahimè in cui viviamo.

Non so se anche per Lavia oggi sia così, lo era certamente per Strehler che Lavia ricorda, ma nel suo spettacolo non c’è somiglianza con quello spettacolo. Al contrario I giganti secondo Lavia vengono messi in scena e interpretati come un saggio di disperata vitalità che si nutre di un mondo di apparizioni, di una certa estranea follia, di una volontà – si direbbe – di “non esserci” in quel mondo nel quale non ci si può riconoscere ma che, tuttavia, pulsa forte e prepotente vicino a noi.

Con il suo copricapo alla turca, Cotrone è il capo di questa corte di sbandati, di auto esiliati che vivono rappresentando sogni in un luogo appartato, la Villa della scalogna. Qui, con i capelli rossi sciolti, seminuda, appare all’improvviso la Contessa Ilse con i resti della sua compagnia. Un’invasata del teatro che ha dilapidato i beni del marito per rappresentare la Favola del figlio cambiato scritta da un giovane poeta che l’amava e che si è suicidato per lei, mentre la donna (la interpreta con scatti nevrotici da “pososa” degli Anni Trenta, Federica Di Martino) incapace di vivere nella realtà, trascina con sé alla rovina i resti di quella che fu, un tempo, la sua compagnia. In questo mondo che vive sospeso a mezz’aria lei crede di trovare ciò di cui ha bisogno: qui ci sono dei fantocci di carne che si animano se qualcuno li provoca, pronti a rappresentare se stessi e la confusione di un mondo che non c’è, nel quale anch’essi hanno deciso di vivere, muovendosi a scatti, come marionette meccaniche.

In questo mondo che confusamente cerca di sopravvivere in una realtà che non è tale, che non esiste, l’unico davvero saggio è proprio lui, Cotrone. Lui sogna che quel teatro scalcagnato, a pezzi, che quel velario-sipario che nasconde tutto ciò che sta al di là riuscirà ad aprirsi su di una sala, in cui ci sia ancora qualcuno in grado di comprendere la “favola nuova” cioè il nuovo teatro e non si trasformi, invece, in un teatro di gladiatori. Credo che Lavia nutra anche lui questa speranza. Il testo di Pirandello che non finisce, non dà risposte; restano l’ottimismo della volontà e un gigantesco punto interrogativo.

C’è molta fisicità nello spettacolo di Lavia, applaudito con calore dal suo pubblico, che lui governa con mano sicura, ritagliandosi degli spazi da raisonneur, che non può certo essere un borghese dai polsini lisi ma un mago che vive a mezz’aria, una specie di Prospero che tiene saldamente in mano la bacchetta del teatro. Quando la compagnia, di buon livello, si allinea per ricevere gli applausi del pubblico dello Strehler è così numerosa da riempire l’intero proscenio del palcoscenico.

Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano. Repliche fino al 10 marzo 2019. Foto Tommaso Le Pera

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I giganti della montagna
di Luigi Pirandello
regia Gabriele Lavia
scene Alessandro Camera, costumi Andrea Viotti, musiche Antonio Di Pofi
luci Michelangelo Vitullo, maschere Elena Bianchini, coreografie Adriana Borriello
con Gabriele Lavia
La Compagnia della Contessa Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Lepera, Luca Massaro
Gli Scalognati Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Daniele Biagini, Marika Pugliatti, Beatrice Ceccherini
I Fantocci (personaggi della “Favola del figlio cambiato”) Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Vona
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo