"Sinfonia d'autunno", regia di Gabriele Lavia

Una sinfonia per donne sole

Al terzo incontro con un testo di Ingmar Bergman, Gabriele Lavia firma con “Sinfonia d’autunno” una regia dai colori decisi e contrastati, fra simbolico ed iperrealeMaria Grazia Gregori


Dopo Scene da un matrimonio (1998) messo in scena e interpretato con Monica Guerritore e poi Dopo la prova del 2001, Gabriele Lavia incontra per la terza volta, solo come regista, il mondo all’apparenza algido ma in realtà inquieto e solitario di Ingmar Bergman in Sinfonia d’autunno (in scena al Piccolo Teatro Grassi) testo nato per il teatro e poi diventato film nel 1978, protagoniste Ingrid Bergman e Liv Ullmann. Più che una sinfonia legata non tanto al mutare delle stagioni quanto all’aridità del cuore, all’impossibilità di superare quel nodo di dolori, rimpianti, egoismi, inquietudini, odi che spesso impedisce agli uomini e alle donne di parlarsi davvero e di sapersi perdonare, il testo di Bergman è una vera e propria “sonata di spettri” di impianto strindberghiano, dominato da tre figure femminili – una madre e due figlie – che invano il marito di una delle due cerca di accompagnare nella riscoperta di se stesse, limitato com’è al ruolo di osservatore, di impotente, ma consapevole compagno di strada. C’è una madre, Charlotte, grande concertista, che ha sempre anteposto il suo amore per la musica sia al marito sia alla figlie e a qualsiasi altro uomo amato, che dopo sette anni di reciproco silenzio torna a vedere la figlia Eva e suo marito Viktor che hanno perso il loro unico figlio di pochi anni, spinta soprattutto da una malattia – un fortissimo dolore alla schiena che già ora le impedisce di suonare con lo stesso risultato di un tempo -, ma anche, confusamente, da un senso di colpa nei confronti delle figlie abbandonate. E ci sono Eva, chiusa nel suo rancore verso la madre e nella sua infelicità, che ha tolto la sorella Helena, che si esprime con urla e suoni gutturali, dalla clinica dove era rinchiusa portandola a vivere con sé e con suo marito Viktor, che si definisce un bambino “dai genitali un po’ troppo sviluppati”.

Giustamente la regia di Lavia toglie la riconoscibilità del luogo in cui si svolge la vicenda che non è proprio un nido di vipere ma poco ci manca: non importa che questo luogo sia una canonica dove il marito di Eva esercita la sua missione. Quello che conta, infatti, è che sia un contenitore (scena di Alessandro Camera) illuminato da un ampio finestrone sullo sfondo, dove domina il colore grigio (anche nei costumi), rotto solo dal rosso squillante dell’abito che Charlotte indossa per la cena. Un luogo che malgrado i divani, lo scrittoio dove Eva scrive i suoi libri e la piccola seggiola del bambino suo e di Viktor morto piccolo, di cui la televisione rimanda le immagini felici di una breve infanzia, che riempiono lo spazio del rimpianto del padre che ama infelicemente sua moglie e che inconsolabile lo ricorda, ha ampi spazi bui: sopra dove vive e soffre su di una sedia a rotelle Helena, e sotto dove scompaiono, quasi in dissolvenza, i personaggi per poi riapparire all’improvviso.

Qui si vive una storia dove sembra del tutto improbabile qualsiasi perdono e dove i personaggi vivono tutti segnati da un senso di colpa dal quale non riescono a liberarsi, che, insieme a quello della solitudine, è uno dei grandi temi del teatro e del cinema di Ingmar Bergman. Qui, mescolando il simbolico (il piano che è l’oggetto feticcio di cui più si parla è risolto con il solo movimento delle mani e delle braccia) con l’iperrealismo (come nella scena molto forte della figlia che lassù in alto si butta giù dalla sedia a rotelle e strisciando per terra si rotola faticosamente per le scale fino al soggiorno che sta sotto) la regia raggiunge un risultato di forte impatto visivo ed emozionale.

Sinfonia d’autunno secondo Lavia, però, si impone anche per il lavoro degli attori che si trovano ad agire in una situazione di forte conflitto sia psicologico che fisico. E qui Anna Maria Guarnieri, da vera signora della scena qual è, disegna con rara finezza in un’interpretazione magistrale il personaggio di Charlotte, artista che può rinnegare qualsiasi amore meno che quello per la sua arte, egoista, crudele ma infinitamente sola; Valeria Milillo è un’intensa, emotiva, iperattiva Eva divisa fra l’odio nei confronti della madre e il rimpianto di averla perduta; Silvia Salvatori è, senza parole ma con i suoni e una forte presenza, Helena colpita dalla malattia; Danilo Nigrelli, in questo dramma dove domina la figura femminile anche quando sembra debole e sconfitta, ci restituisce con bravura la forza calma, la generosità di Viktor. Da vedere.

Visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Repliche fino al 21 dicembre. QUI il resto della tournée 2014-2015

Sinfonia d’autunno
di Ingmar Bergman, traduzione Chiara De Marchi
con Anna Maria Guarnieri (Charlotte), Valeria Milillo (Eva), Danilo Nigrelli (Viktor), Silvia Salvatori (Helena)
scene Alessandro Camera
costumi Claudia Calvaresi
musiche originali Giordano Corapi
luci Simone De Angelis
regia Gabriele Lavia
assistenti alla regia Giacomo Bisordi, Cecilia Di Giuli
assistente alle scene Paola Castrignanò
co- produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Fondazione Brunello Cucinelli