Intrigo e amore

Intrigo e amore si addicono a Lev Dodin

Una standing ovation ha salutato il ritorno al Piccolo del grande regista russo, alle prese con un classico dramma romantico di Schiller. La maestria degli attori è esaltata da una regia capace di mantenere in delicato equilibrio ragione e sentimentoMaria Grazia Gregori

Ritorna al Piccolo Teatro dopo qualche anno di assenza Lev Dodin, grande regista russo che in questa città, grazie ai profondi legami con lo stabile milanese, è di casa e gli spettatori del Grassi al termine di Intrigo e amore di Schiller si alzano in piedi e gli tributano una standing ovation.

C’era attesa per questo debutto legato a un testo la cui scelta a prima vista poteva sembrare eccentrica rispetto ai grandi capolavori del teatro e della letteratura russa che il settantenne regista siberiano ha per lo più frequentato. Ma non è così: Intrigo e amore è una passione che gli viene  dalla giovinezza e per di più questo testo così centrato sulla contrapposizione fra vecchi e giovani ma anche così legato ai rapporti fra la libertà dell’individuo e le necessità egoistiche  della politica e dello Stato aveva avuto un suo estimatore in Dostoevskij (di cui, giova ricordarlo, Dodin mise in scena una memorabile edizione dei Demoni). Tutto si tiene, dunque.

Scritto nel 1783 da un autore appena ventiquattrenne che ammirava Shakespeare, considerato da molti come un manifesto del Romanticismo, Intrigo e amore, dramma assai poco rappresentato in Italia, è la storia di un amore impossibile per l’epoca, i cui protagonisti sono il giovane maggiore Ferdinand von Walter – suo padre è presidente e ministro (Igor Ivanov) di un piccolo stato dominato dal potere assoluto di un duca – e la figlia di un maestro di musica da cui il giovane prende lezioni, d’estrazione piccolo borghese, Luise Miller (Verdi  ne fece un’opera nel 1849 dandole come titolo il nome della protagonista). Su questo amore che, secondo le convenzioni di allora, non può neppure pronunciare il suo nome, si scatenano vessazioni e intrighi  il cui motore è il segretario del presidente nonché spasimante respinto di Luise, Wurm (Igor Chernevich), cognome che in tedesco significa verme e “da verme” sarà il suo comportamento. Il presidente con durezza fa di tutto per impedire al figlio quest’amore: gli impone di sposare lady Milford, amante del duca, donna bellissima ma di facili costumi, fa arrestare i genitori (due famosi attori di Dodin, Sergey Kuryshev e Tatiana Chestakova) della ragazza che Wurm costringe, per salvarli, a scrivere una lettera falsa. Lettera che verrà ritrovata da Ferdinand e che lo convincerà di essere stato tradito. Così, durante la festa di un matrimonio che non ci sarà, avvelena con l’arsenico il vino che farà bere alla ragazza e che berrà lui stesso. Moriranno dunque entrambi ma non pensiamo a un Romeo e a una Giulietta redivivi.

Fin dall’inizio, infatti, intuiamo come sarà la fine: faranno di tutto per impedirci di essere felici si dicono i due giovani (i  bravi Danila Kozlovsky e in alternanza Elizabeveta Boyarskaya ed Ekaterina Tarasova). L’altro grande tema che percorre sotterraneo questo testo e che ha affascinato Dodin è senza dubbio quello del cambiamento: Ferdinand torna nel suo illiberale paese dopo avere frequentato l’università, dopo avere conosciuto un altro mondo, altre idee e non si riconosce più nel luogo in cui è costretto a vivere nella sua rigida divisione in classi. Il regista allora si pone di fronte a questo testo per lunghi anni considerato “pericoloso” per i temi che affronta con uno sguardo del tutto contemporaneo. Adatta e sfronda il dramma e lo arricchisce con riflessioni derivate (per esempio dal Contratto Sociale di Jean Jacques Rousseau),  da altri autori, rifugge dall’idea di ambientarlo nell’epoca in cui è stato scritto come del resto rivelano a prima vista i costumi moderni a partire dagli smoking dei servitori. Anche la scena (di Alexander Borovsky) è costruita in sintonia con questa chiave di lettura registica: il palcoscenico è dominato da una costruzione astratta che confina con ciò che sta fuori. Da lì, come da una porta, entrano ed escono di scena i personaggi. Per il resto bastano poche sedie, una lunga teoria di tavoli talvolta spogli, talvolta preparati con le loro tovaglie bianche, i fiori e i candelabri per un matrimonio, sui quali inseguendo un suono noto a lei sola la fulgida lady Milford  di Ksenia Rappoport, a passo di danza tesse la tela della seduzione su Ferdinand. Ma i tavoli sono anche il luogo privilegiato dell’amore, dell’incontro dei corpi, dei fugaci abbracci, del sacrificio estremo, di quella trepida, inquieta tenerezza che talora prende i personaggi e li smemora in cui da sempre Dodin è un insuperabile  maestro.

Classica e allo stesso tempo giovane, la sua regia è costruita sugli attori di cui esalta le caratteristiche e le capacità grazie a uno sguardo in cui ragione e sentimento sono in equilibrio delicato ma con la capacità di trasformare il dramma schilleriano in un’inquieta riflessione sulla politica nella sua crudele, proterva, corrotta oppressione.

Visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano. Repliche fino al 12 ottobre 2014    

Intrigo e amore
di Friedrich Schiller
adattamento e regia Lev Dodin
scene Alexander Borovsky
luci Damir Ismagilov
collaborazione artistica Valery Galendeev
musica Ludvig van Beethoven
completano la drammaturgia testi di Jean-Jacques Rousseau
e Otto von Bismarck
traduzione dal tedesco Nikolay Liubimov
con Igor Ivanov, Danila Kozlovsky, Ksenia Rappaport, Igor Chernevich, Sergey Kuryshev, Tatiana Chestakova, Elizaveta Boyarskaya/Ekaterina Tarasova (in alternanza)
e con Artur Kozin, Leonid Luzenko, Evgeniy Sannikov, Stanislav Nikolkiy, Stanislav Tkachenko, Vladimir Shilling
produzione Maly Drama Teatr di San Pietroburgo
con il supporto del Ministero della Cultura della Federazione Russa

Spettacolo in russo con sovratitoli in italiano
a cura di Prescott Studio, Firenze