Lear schiavo d’amore

Il nuovo spettacolo dei Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa al debutto a Torino nella visionaria riscrittura di Marco Isidori e Daniela Dal Cin. Sempre a Torino, Valerio Binasco firma la sua prima regia da direttore artistico dello Stabile con il “Don Giovanni” di Molière. La compagnia olandese Toneelgroep torna a Milano con “The year of cancer” di Hugo Claus. Approda a Roma “I malvagi” di Alfonso Santagata, che attinge a pagine varie di DostoevskijRenato Palazzi

Dopo Vortice di Macbeth e lo splendido Amletone!, i Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa si accostano per la terza volta a un’opera di Shakespeare, in questo caso a quel tumultuoso concentrato di fallimenti umani e di tragedie famigliari che è il Re Lear, un Re Lear ovviamente ricreato nello stile dirompente dell’indomita compagnia torinese: è dunque naturale che in Lear, schiavo d’amore (foto), in programma da martedì 3 al Teatro Gobetti di Torino, il testo originale, secondo consuetudine, sia stato completamente riscritto dal regista-autore Marco Isidori, mentre l’azione viene calata in una mirabolante macchina scenografica di Daniela Dal Cin, che ha il paradossale aspetto di un sottomarino in immersione, ma dotato di ali per volare.

Nominato direttore artistico dello Stabile di Torino dopo Mario Martone, Valerio Binasco ha puntato, per la sua prima produzione in questa veste, sul Don Giovanni di Moliére, in scena da martedì 3 al Teatro Carignano: è una scelta che forse dice qualcosa sull’idea di teatro pubblico che ha in mente: da sempre Binasco cerca infatti di coniugare una sensibilità registica tutta contemporanea a una visione dei grandi classici che in qualche modo si potrebbe definire “popolare”. E popolare, per molti aspetti, è il mito del seduttore libertino che, con le sue condotte spregiudicate, sfida il moralismo dei benpensanti e le fiamme dell’inferno. Fra gli interpreti, Gianluca Gobbi nei panni del protagonista e Sergio Romano in quelli di Sganarello.

Da giovedì 5 torna al Teatro Strehler di Milano la compagnia Toneelgroep di Amsterdam, che un paio d’anni fa aveva incantato il pubblico con due testi di Ingmar Bergman, Dopo la prova e Persona, nell’aguzza messinscena di Ivo van Hove. Stavolta i bravissimi attori olandesi hanno lavorato su un romanzo del ’72, The year of cancer di Hugo Claus, sotto la direzione del regista belga Luk Perceval, che porta per la prima volta un suo spettacolo in Italia: è la storia di un amore impossibile, di due personaggi – un uomo e una donna – che, dopo le prime appassionate fasi della loro relazione, si cercano e si respingono senza riuscire più a darsi ciò di cui avrebbero bisogno per vivere un vero rapporto di coppia, attraversando tutte le fasi dell’illusione e della disillusione.

Attingendo a pagine varie di Dostoevskij, in particolare de I demoni e di Delitto e castigo, ma soprattutto a Memoria di una casa morta, il racconto della deportazione dello scrittore in Siberia, Alfonso Santagata compone un febbrile affresco popolato da una piccola umanità di esaltati, di pazzi, di infelici, di sovversivi visionari. I malvagi, lo spettacolo che arriva da giovedì 5 a domenica 8 al Teatro India di Roma, ha un andamento sincopato, frammentario, non approda mai a una narrazione unitaria, ma scruta con una sorta di lacerante oggettività – come è nello stile di questo maestro del teatro di ricerca – nell’interiorità di personaggi raffigurati nei loro sbandamenti, senza però mai giudicarli o prenderne in qualche modo le distanze.