Il giardino dei ciliegi

Il regista Lev Dodin sa regalare emozioni nuove nonostante la classicità del testo di Cechov. Lo fa con scelte azzeccate e libere ma senza eccessi, che assecondano l’idea che Cechov stesso aveva del suo teatro: un vaudeville né da ridere né sguaiato, che spinge però a uscire dalle regoleMaria Grazia Gregori


Entrano dal fondo della sala come se fossero i Sei personaggi di Pirandello portando con sé delle valigie. E invece  arrivano  da Parigi perché la loro proprietà, di cui il giardino dei ciliegi è – per così dire – il pezzo forte, deve essere venduta all’asta per ripagare i debiti di una vita  di sperperi e di totale incapacità nel fare fruttare i propri beni. Sono bianchi i ciliegi che ci vengono mostrati con delle immagini cinematografiche proiettate su di un sipario bianco. E bianche sono le poltrone del Teatro Strehler ricoperte di candide fodere di lino (russo ci si dice) con la sorpresa del pubblico che si è trovato immerso in un mare di bianco è totale. Ma è solo l’inizio quando ci rendiamo conto che anche noi, come quei signori venuti da lontano siamo  in visita, chissà, forse nel ruolo inaspettato di guardoni più o meno consapevoli, magari come degli agognati e allo stesso tempo temuti acquirenti della proprietà.

Così osserviamo,  sempre più coinvolti,  i maneggi di quella casa in rovina  perché molto di quanto succederà  nel  corso delle tre ore del magnifico Giardino dei ciliegi di Lev Dodin  quasi tutto avviene giù dal palcoscenico, in una specie di salotto bianco con tanto di biliardo (“ palla al centro e carambola”) l’ossessione  di Gaev, uno dei proprietari. Il palcoscenico, però, è anch’esso  un luogo di altre apparizioni a partire dal giardino le cui immagini, in bianco e nero, sembrano venirci incontro come se percorressimo una strada immaginaria che ci porta dentro un velario candido che può servire alla spendacciona, inquieta Ljuba di Ksenia  Rappoport (nella foto con Igor Chernevich)  per avvolgersi dentro come se fosse Francesca Bertini e che è chiuso ai lati da due porte illuminate   dalle quali entrano ed escono altri personaggi eccentrici, annoiati e un po’ disperati. Che parlano a vanvera, magari citando le proprie scarpe gialle (ah l’ossessione di Cechov per le scarpe: quelle di Trigorin nel Gabbiano che secondo lui dovevano avere un bel buco nella suola; le galosce dello spiantato studente a vita Trofimov) a segnalare un disagio totale o la preoccupazione di un parvenu.

Noi siamo presi dentro questa storia, ci intrigano le ansie e le infelicità  di Ljuba,  siamo infastiditi  dall’insipienza e dalla pigrizia di Gaev ritratto perfetto e feroce di una società  che sta ballando  sull’orlo del precipizio, dalle cameriere che snocciolano  qualche parola di francese, dallo straparlare un po’ folle di Charlotte la governante e perfino del vecchio Firs che apre e chiuderà la storia e che spesso ricorda  con orrore come tutto sia iniziato ad andare storto  ai tempi  della “grande disgrazia”,  che poi sarebbe  la liberazione dei servi della gleba. E troviamo sorprendentemente ingiusta la saggezza, anzi la noncuranza di Anja che ripete a sua madre che non importa  anche se il giardino si venderà per costruirci villette   per la villeggiatura dei borghesi perché quando una cosa vecchia finisce  vuol dire  che ne inizia una nuova mentre ci sembra sufficientemente saggio  e poco noioso il disilluso studente a vita Piotr che però ha capito che lo studio non è per lui. E via così fra sentimenti, nostalgie, qualche dolore, qualche rara felicità, molti ricordi senza mai rinnegare una certa praticità nei confronti della vita e delle cose. Per esempio l’armadio nella stanza dei bambini che nel “Giardino” di Strehler idealmente conteneva il ricordo  della felicità ma anche della morte, qui ci si dice prosaicamente,  che ha ben 100 anni di vita (legno buono dunque).

Ma ecco che Dodin, improvvisamente, fa una giravolta inaspettata, assolutamente libera, facendoci toccare con mano che cosa  volesse dire Cechov quando ribadiva a Stanislavkji che tutto il suo teatro era un vaudeville  certamente non ridanciano o esagerato ma piuttosto  un impeto che  spinge a uscire  dalle regole. Lo fa in due punti chiave strettamente connessi fra di loro: l’amore fra Varja, figlia adottiva di Ljuba e Lopachin, colui che ha comperato il giardino si è sempre visto irrealizzato, mentre qui i due si baciano, si desiderano e addirittura vanno dietro il sipario si presume a fare all’amore anche se poi andranno ciascuno per la propria strada. E poi c’è la danza pazza di Lopachin  (il formidabile Danila Kozlovskij) che vediamo dietro il sipario abbandonarsi a un’esibizione quasi selvaggia che non ha nulla a che fare con il valzer di Strauss quando rivela che è lui, l’ex contadinello, ad avere comperato la proprietà ed il magico giardino e che ha già progettato la pianta del nuovo villaggio. E spiega la sua visione della vita cantando a squarciagola  “My way”, hit di Frank Sinatra: alla sua maniera, dunque, malgrado i consigli e le critiche degli altri.

Ottima prova d’attori a cominciare da Ksenia Rappoport,  una Ljuba senza eccessi, con un suo pathos nascosto dietro un pallido  sorriso, sensibile, slanciata figurina vestita di nero; ma vorrei ricordare anche  il Gaev infantile dalla pigrizia delicata di Igor Chernevich  e l’intrigante Varja di Elizaveta Bojarskaja. E, last but not least, Cechov e Lev Dodin che ci hanno regalato emozioni nuove.

Visto al Piccolo Teatro Strehler di Milano

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Il giardino dei ciliegi
di Anton Cechov
regia e adattamento Lev Dodin
scene Alexander Borovskiy, luci Damir Ismagilov
riprese video Alisher Hamidhodgaev
collaborazione artistica Valery Galendeev
coordinamento artistico Dina Dodina
musiche Gilles Thibaut, Paul Misraki, Johann Strauss
con Ksenia Rappoport, Ekaterina Tarasova, Elizaveta Boiarskaia, Igor Chernevich, Sergei Vlasov, Danila Kozlovskiy, Oleg Ryazantsev, Tatiana Chestakova, Andrei Kondratiev, Nadegda Nekrasova, Polina Prikhodko, Sergey Kuryshev, Stanislav Nikolkiy
coordinamento musicale Mikhail Alexandrov
produzione Maly Drama Theatre – Theatre of Europe, Saint-Petersburg
spettacolo creato con il sostegno del Ministero della Cultura della Federazione russa, Fondazione dell’arte, della scienza e dello sport
e con l’aiuto personale di Alisher Usmanov
Sponsor principale del Maly Drama Theatre – Teatro d’Europa KINEF
Con il supporto del Ministero della Cultura della Federazione russa

Spettacolo in russo con sovratitoli in italiano