L’amore ai tempi della Macelleria (Ettore)

Macelleria Ettore e la regista Carmen Giordano hanno intrapreso un percorso di avvicinamento al mondo di Cechov che è, a suo modo, esemplareRenato Palazzi

Il percorso di avvicinamento al mondo di Cechov intrapreso dalla compagnia Macelleria Ettore è a suo modo esemplare. La regista Carmen Giordano è partita da una serie di “studi” sui racconti dell’autore russo, raggruppati per aree tematiche: il primo, Nostalgia del presente, voleva indagare il più ampio territorio dei rapporti umani. Il secondo, Malattia della vita, si sviluppava sull’incerto confine tra salute e patologia, mentre questa terza proposta che ha debuttato nella rassegna “Apache”, al Teatro Litta di Milano, Sapevo esattamente cosa fosse l’amore prima d’innamorarmi, riguarda le relazioni sentimentali, il matrimonio, gli alti e bassi della passione. Il tutto in vista di una messinscena conclusiva del Giardino dei ciliegi prevista per il prossimo anno.

La Giordano ha dunque scelto di operare su materiali letterari più scarni e lievi come una sorta di esercizio preparatorio, un percorso in divenire che le servisse soprattutto per mettere a punto il tono, per accordare gli strumenti attorali – in un certo senso – in attesa di dedicarsi al più impegnativo confronto col capolavoro cechoviano. Il titolo complessivo dato al trittico, Senza trama e senza finale, ispirato a un’eloquente indicazione dello scrittore stesso sulla composizione dei suoi testi, la dice lunga sulla natura dell’operazione: è già un manifesto programmatico, l’attestazione che siamo di fronte a un procedimento “a togliere”, alla ricerca di uno stile sottilmente allusivo ed elusivo.

Poi magari, come a volte accade, questa fase per così dire introduttiva manterrà un suo spessore autonomo, non convergerà mai nell’approdo considerato definitivo: ma intanto rivela un metodo, una strategia di approccio alla materia che rende merito a chi ha deciso di puntare su di essa: la scelta, da parte di un gruppo giovane, di misurarsi con un classico, con un grande caposaldo della tradizione – per tornare a uno dei temi di una più vasta riflessione sulla difficoltà di crescere, che era stata avviata tempo fa in questo sito – non è di per sé necessariamente un valore. Ciò che conta è il modo in cui lo si fa proprio, lo si assimila a una visione odierna del teatro, lo si assume come un nucleo vivo di pensieri e di emozioni e non come un inerte retaggio del passato.

Sapevo esattamente cosa fosse l’amore prima d’innamorarmi è un collage di situazioni, di parole, di brevi spunti di dialogo tratti da La fidanzata, La signora col cagnolino, Strega, Il racconto di uno sconosciuto e varie altre pagine cechoviane: pur nella misura ridotta della novella, anticipano e prefigurano per improvvise folgorazioni una serie di stati d’animo che percorrono le opere maggiori, e che riguardano tutti, in un modo o nell’altro, delle occasioni mancate, delle sfasature, delle «cose che potevano essere e non sono state», per dirla con Gozzano. C’è sempre qualcuno che ama non riamato, o ama troppo tardi, quando l’altro ha cessato di amarlo. C’è sempre qualcuno che si sposa per sbaglio o per puntiglio, e che si trova a odiare la moglie o il marito.

La struttura drammaturgica segue la logica del montaggio, dell’assemblaggio di vicende e di ambienti diversi, con un andamento necessariamente sospeso, frammentario. Ma proprio questa discontinuità si rivela un pregio: quei brandelli, quei lacerti di rapporti altrimenti complessi, stagliati come sottovuoto, non ne danno una percezione riduttiva ma anzi li universalizzano, li consegnano quasi a una sfera assoluta. Ci sono, a volte, delle sequenze narrative più articolate, ma basterebbero certe frasi isolate – «Ho creduto che se non ti avessi sposato avrei fatto male. È stato un errore», «Perdonami, io ti stimo ma non posso sposarti», «È chiaro che mi sono disamorata di lui» – per delineare l’affresco di un’unica, fatale instabilità.

Questa incompiutezza, queste asimmetrie affettive sembrano esprimere il senso di un ulteriore smarrimento. Abbandonati in uno spazio desolatamente spoglio, senza l’identità di personaggi definiti a cui aggrapparsi, i quattro attori vestiti di nero – Claudia De Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettoruso e Angelo Romagnoli – si guardano come spiando se stessi sul volto degli altri. È chiaro che il loro è anche un addestramento alla reticenza, all’uso dei silenzi e dei non detti: sono bravi, ma in questo prosciugamento interpretativo potrebbero avere ancora del lavoro da fare. Con loro alla ribalta c’è il cantautore Renzo Rubino, che esegue le musiche dal vivo col suo pianoforte elettrico: più che un accompagnamento, offre un costante supporto sonoro all’azione.

Visto al Teatro Litta di Milano, nell’ambito della rassegna “Apache”. Repliche fino all’8 marzo 2015

Sapevo esattamente cosa fosse l’amore prima d’innamorarmi
uno studio sui racconti di Anton Cechov
testo e regia: Carmen Giordano
musiche originali dal vivo: Renzo Rubino
con: Claudia de Candia, Stefano Pietro Detassis, Maura Pettoruso, Angelo Romagnoli