Umberto Orsini nel "Gioco delle parti" di Pirandello

Prima e dopo Il gioco delle parti

Umberto Orsini, applauditissimo, torna nei panni di Leone Gala nel celebre dramma pirandelliano già interpretato nel 1996. La regia di Roberto Valerio dilata lo spazio del racconto, concentrando quello dell’azioneMaria Grazia Gregori

Al suo secondo Il giuoco delle parti di Pirandello (il primo lo interpretò nel 1996 con la regia di Gabriele Lavia) Umberto Orsini, con l’aiuto del regista Roberto Valerio, decide di rivoluzionare le carte del testo pirandelliano, quello che – ci piace ricordarlo -, gli attori stanno provando con il capocomico prima che arrivino i Sei personaggi. L’idea, peraltro ben documentata da una lucida introduzione scritta dall’attore nel programma della sua Compagnia, è quella di rifarsi alla più cruda novella pirandelliana, Quando si è capito il giuoco, da cui il testo deriva, ma dilatando il dramma a un dopo e a un prima, leggendolo dunque come un lunghissimo flashback, in un impietoso andare avanti e indietro. È come se il sottotesto, quello che gli attori e il regista mettono in luce durante le prove, diventasse testo con un tuffo nell’inconscio non così avventuroso per lo scrittore siciliano (peraltro si scrive correttamente non “di” ma “da” Luigi Pirandello), ma spiazzante e in certo qual modo inaspettato per chi guarda. Il luogo in cui tutto avviene, inventato da Maurizio Balò (i bei costumi sono di Gianluca Sbicca) è una grande stanza concentrazionaria, con pareti che si aprono e si chiudono per fare entrare, di volta in volta, i personaggi. Una specie di “stanza della tortura” dove i protagonisti sono messi sulla graticola e non riescono ad abbatterne i muri che li rinchiudono in un luogo che si fa sempre più solitario e sempre più asfittico.

La stanza della tortura del Leone Gala di Orsini è la stanza di un ospedale psichiatrico dove sta chiuso – ormai vecchio, su di una sedia a rotelle, con una giacca da camera -, il marito che accettò di condividere la moglie con un altro uomo purché fosse salva la “forma”, la propria dignità di persona. Qui appaiono, di volta in volta, medici, infermieri che si trasformano improvvisamente, come in una tragica mascherata, in vecchi amici o servitori. È il “gorgo” di cui parla Enrico IV, è il luogo della follia, non importa se vera o immaginaria, ma sempre dolorosa perché portatrice di un dolore che a distanza di tempo è ancora, per chi lo prova, terribile come terribile è la coazione a ripetere gli antichi gesti che imprigiona i personaggi. Un girotondo in cui la fine è il principio e viceversa.

Così, fra candidi letti d’ospedale o in salotti di case borghesi, la storia che ha un deus ex machina, Leone Gala stesso, che è contemporaneamente dentro e fuori la vicenda e che vive solo dedito ai piaceri della cucina – senza però mai mancare alla mezzora quotidiana di incontro con la moglie Silia che, ormai da tempo, ha per amante un amico del marito – assume i caratteri crudi della recita consapevole di una follia.

A rompere equilibri delicati c’è il fatto che la donna, offesa da alcuni giovanotti ubriachi che hanno bussato alla sua porta credendo fosse quella di una prostituta che le abita vicina, vuole che il marito ne difenda l’onore in un duello all’ultimo sangue. Ed è qui che Pirandello spacca il cappello in quattro per spiegarci la giravolta di Leone Gala, che dapprima sembra accettare il suo ruolo formale di marito e dunque di obbligato difensore dell’onore di lei, per poi, con una piroetta, liberarsene sadicamente: tocca all’amante di lei che non l’ha difesa pur stando in casa sua (ma nascosto per via di quella benedetta forma o ipocrisia di cui si diceva) andare al duello ed essere ucciso. A Leone, che ha capito il gioco dei due che volevano liberarsi di lui, resteranno le colazioni con l’amatissimo uovo alla coque, che magari si spiattella per terra, oppure con uno zabaione e le rare, rancorose visite della moglie.

Il regista Valerio costruisce uno spettacolo all’apparenza astratto ma pervaso da una violenza sottile con personaggi che si affannano ad apparire diversi da quello che sono. Accanto all’applauditissimo Umberto Orsini al quale il pubblico del Teatro Strehler regala una vera e propria ovazione che premia la sua lucida, inquietante interpretazione, in questo spettacolo dove è sostituito all’ambiente altoborghese, nel quale solitamente lo si rappresenta, un mondo semplicemente borghese, meno algido e più viscerale e comunque ipocrita, ha modo di spiccare la Silia della brava Alvia Reale, mentre Guido Venanzi, l’amante (Totò Onnis), si trova come stritolato nella macchina infernale approntata dal marito raisonneur, affiancati dall’ironico Flavio Bonacci e da Carlo De Ruggieri e Woody Neri.

Visto al Piccolo Teatro Strehler. Repliche fino al 22 marzo 2015

Il giuoco delle parti
da Luigi Pirandello
adattamento Roberto Valerio, Umberto Orsini, Maurizio Balò
con Umberto Orsini, Alvia Reale, Totò Onnis
e con Flavio Bonacci, Carlo De Ruggieri, Woody Neri
regia Roberto Valerio
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
produzione Compagnia Umberto Orsini srl, Fondazione Teatro della Pergola