Una Giulietta d’eccezione illumina gli incerti futuri della danza italiana

Al passaggio del nuovo anno molte le incertezze sui destini della danza italiana. Ma per fortuna anche qualche certezza. La grandezza di un talento assoluto riconquistato dal teatro, la qualità conclamata di un bell’ensemble. Dalla prova di Ferri, Cornejo e il Ballo della Scala l’occasione per riflettere sullo stato (anche  politico) dell’ arte in ItaliaSilvia Poletti

Come si sa la sera di San Silvestro alla Scala ha coinciso con un grande evento. E proprio la sua eccezionalità, nell’attuale contesto scaligero e più in generale sulla scena della danza nazionale induce ad alcune riflessioni di inizio anno.

Alessandra Ferri che torna al Teatro alla Scala nel suo ruolo d’elezione, Giulietta, in questa incredibile fase della sua carriera ( o forse, meglio dire, seconda vita artistica) riveste, come dicevamo, un significato di assoluta unicità. E come tale, credo, deve essere considerato anche dal pubblico, che è tornato a godere di una lezione magistrale di danza drammatica, che lungi dal ripercorrere strade ben note – quelle che appunto l’hanno resa celebre in questo ruolo fin dai suoi vent’anni – ha fornito invece nuove prospettive interpretative al personaggio così come fu immaginato, nel 1965 dal coreografo Kenneth MacMillan.

La nuova Giulietta di Alessandra, pur vivida nella passione fremente, nella risolutezza del dolore, nello smarrimento dell’angoscia ha trovato una dimensione poderosamente efficace nell’asciugare l’enfasi e nel lavorare di sottrazione – che le fa ingigantire lo sguardo parlante, la minuta figura nell’immobilità della celebre scena del veleno. Di questa impalpabile ma incisiva essenzialità, ricca di una incredibile gamma di sfumature, ne gode anche e soprattutto la sua danza, specie quando è espressione di un dialogo: la ben nota musicalità dei legati diventa qui ‘sottotesto’ che aiuta a colorire di timbri e chiaroscuri i gesti/parole; ne detta il ‘tempo’ di enunciazione/dinamica, ne amplifica le sospensioni – come se fossero piccoli sospiri, o sussulti di sorpresa, gioia, dolore. In questo senso, grazie anche alla straordinaria empatia con Herman Cornejo, il fuoriclasse latino che con Ferri ha iniziato tre anni fa una partnership davvero alchemica, i duetti diventano pagine da antologia.

Da parte sua Cornejo, virtuoso naturale, ha scelto di ‘piegare’ la facilità del suo atletismo ad una espressività intensa e senza manierismi, e si è dimostrato intelligente e di sapiente umiltà, anche nel suo mettersi ‘al servizio’ della sua Giulietta. In questa gigantesca dimensione di fragilità, accentuata forse inconsapevolmente da ‘attacchi’ più cauti o equilibri meno tenuti, la Giulietta di questa fase della vita di Ferri è infatti capitale -e lo resterà ancora di più se, come lei stessa ha detto e ci auguriamo- questo ritorno ai ruoli della sua prima carriera continuerà ad essere episodico ed eccezionale. Perché è così che si ‘fissa’ una interpretazione ‘storica’, che sa evolversi nel tempo ma non deve concedersi alla sue inevitabili usure.

Questa serata d’eccezione è il colpo da maestro sfoderato da Frederic Olivieri, direttore della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, chiamato in tutta fretta dal sovrintendente Pereira a coprire il buco gestionale dell’attività del Ballo, dopo il disastroso forfait dell’effimero Bigonzetti, durato nel suo ruolo dirigenziale lo spazio di un (discusso) mattino. Al posto della creazione Coppélia dunque ecco Romeo e Giulietta, per la coppia massmediatica Bolle/Copeland e per i giovani talenti milanesi ( e ce ne sono molti fioriti grazie alla sapiente e rigorosa mano dell’ex direttore Makhar Vaziev). Nella serata di San Silvestro hanno ben figurato, anche se in alcuni casi ( complice una ricostruzione della coreografia di MacMillan che nella sua meccanicità rischia di appiattirsi e perde di freschezza) sono sembrati solo ‘abbozzati’ nella caratterizzazione. Ottimo Tebaldo, comunque, Mick Zeni, sempre una sicurezza in ruoli di ‘peso’; fresco e leggero Christian Fagetti come Benvolio; promettente, anche se acerbo il Mercuzio di Walter Madau.

La compagnia di ballo insomma “c’è”, autorevole, qualificata, con belle personalità. Una compagnia , ‘la’ compagnia di balletto che può e deve conservare il genere in Italia, anche perché – come ci aggiornano le cronache- i disegni ministeriali continuano a realizzarsi e i corpi di ballo interni alle fondazioni liriche continuano a chiudere: ultimo, due giorni fa, quello dell’Arena di Verona. E poco contano i lai e piagnistei, ora. L’allora direttore generale Nastasi l’aveva detto, già qualche anno fa: dovranno restare due, tre compagnie di balletto di teatro d’opera in Italia e dovranno ‘girare’. E così è. Non a caso, ci troviamo a breve La Bella Addormentata dell’Opera romana sulle autorevoli scene della Fenice di Venezia, usa fin qui ad ospitare compagnie del livello dello Stuttgart Ballett o dell’Opéra di Parigi.

Ma se così ha da essere, allora che le cose siano fatte con tutti i crismi. Nel caso scaligero i sei – sette programmi annuali sono pochi, troppo pochi. Gli standard internazionali anche in tempi di contrazioni economiche non scendono sotto i dodici programmi a stagione, tra creazioni e repertorio. Questo aiuta a far crescere le compagnie e offre al pubblico un ventaglio di proposte ricco e articolato, capace di dare una panoramica dello stato dell’arte.

Ci si interroga chi sarà il nuovo direttore, da lì si capirà molto dei destini della compagnia scaligera. La prima scelta di Pereira è stata, abbiamo visto, infelice. Forse lo sarebbe stata ancor più se il direttore nominato non si fosse fatto venire un doloroso ma provvidenziale mal di schiena. Ma ora nel vuoto lasciato e tra i nomi che aleggiano, bisogna che la scelta sia sapiente, consapevole del ruolo del ballo scaligero, sia storico che evidentemente futuro, sulla scena nazionale. Un ruolo culturale, capace di riconnettere, con criterio e conoscenza, tutti i legami, le intersezioni, i riferimenti, i passaggi e le presenze che hanno segnato l’arte coreutica di questi ultimi duecento anni, nel presente, nel futuro prossimo.

Tira un’aria strana: il vento contemporaneista che da qualche tempo sta soffiando dalle parti di Santa Croce in Gerusalemme (sede del MIBACT) e che evidentemente sta influenzando – ‘abusandone’- le scelte e le linee di chi ha il potere di scegliere per noi, innalzando un gran polverone confonde lucciole per lanterne. Bisogna aver invece ben saldo il senso del passato per poter segnare le strade del futuro.Vedremo nei giorni prossimi, le risoluzioni di Pereira – preludio ad altre risoluzioni su cui torneremo: come la nuova gestione di Aterballetto, per esempio. Ma di questo più tardi.

Una preghiera, in attesa. Resettare l’orchestra scaligera, almeno quando si esibisce – si fa per dire- in partiture per la danza. Una esecuzione di un livello talmente basso, ohimè, da essere imbarazzante e certo poco onorevole per l’effige scaligera. E per gli orecchi del povero pubblico che il 31 dicembre ha pagato fior di euro anche per il suo blasone.

Visto al Teatro alla Scala, Milano 31 dicembre 2016. Prossime repliche con vari cast 5, 13, 15, 18 e 19 gennaio. Domenica 15 ore 21.15 su RAI5  e in diretta nei cinema  alle ore 15. La foto in apertura è di R. Connors, Alessandra Ferri con Herman Cornejo ABT