Una data sola, che ha convogliato oltre diecimila spettatori all’Arena di Verona per la prima assoluta del classico shakespeariano nella trascrizione ballettistica di Johan Kobborg, in cui arde il fuoco della passione e dell’irruenza giovanile. Perfetta per Polunin e compagnia.- Silvia Poletti
E’ stato un successo. Un vero grande successo. E meritato. Diecimila e passa spettatori all‘Arena di Verona in arrivo da tutto il mondo ad applaudire la prima assoluta di Romeo e Giulietta creato dal danese Johan Kobborg per la grande Alina Cojocaru e Sergei Polunin – ancora, irresistibilmente lui. Ma soprattutto è il nuovo, fondante step da cui il progetto artistico avviato dal danzatore in questi ultimi tre anni può e deve ripartire. Perché a differenza dalle produzioni precedenti con le quali Polunin si è presentato sulle scene italiane e non ( Satori e Sacré) qui l’impianto teatrale e coreografico è finalmente solido, e -nonostante la ‘libertà’ nell’esecuzione concessa al fuoriclasse e all’eccellente cast che lo circonda- tiene la tensione fino alla fine, calibra nel suo crescendo il pathos, ‘costringe’ ad uno sviluppo coerente dei personaggi – e quindi della loro danza – mettendo sapientemente le briglie sul collo a tutti. Insomma un lavoro coeso e efficace,
Certo ad aiutare è naturalmente il fatto di una drammaturgia già perfetta di per sé che anche nella traduzione musicale della celebre partitura di Prokofiev -così cinematografica e descrittiva – trova una sicura base ritmica, melodica e espressiva su cui basare ogni nuova scrittura coreografica. Tuttavia nella scelta di asciugare l’azione e condensarla ( espungendo molte parti presenti nelle edizioni tradizionali del balletto, fino all’audace cancellazione della scena della camera da letto, abitualmente destinata a un drammatico duetto per i due protagonisti) Kobborg ha puntato a dare un ritmo ancora più spasmodico, davvero fino all’ultimo respiro, alla travolgente vicenda veronese. Si corre a precipizio verso il drammatico epilogo, qui: tutti gli accenti sono infuocati, i movimenti larger than life, le azioni teatrali vigorose e violente, come il plateale schiaffo di padre Capuleti ( l’autorevole Ross Freddie Ray) che umilia Giulietta o i duelli, soprattutto quello tra Romeo e Tebaldo, dominato dalla foga e dall’ira più cieca. La danza amplifica, se possibile, questa frenesia: grandi salti e ampi giri, in velocità neoclassica, glissades, fish dives e portées ‘alla russa’, che divorano l’enorme palcoscenico areniano.
Con un cast brillante come quello a disposizione – un fresco ensemble di giovani ballerini da tutto il mondo comunque formato per l’occasione, giacché il progetto è stato prodotto dalla piattaforma Polunin Ink ( con l’ausilio in Italia di Show Bees e Ater) – Kobborg non può del resto non mettere in luce le caratteristiche e le qualità tecniche e teatrali di ciascuno, scegliendo così di lavorare soprattutto sull’effetto e la funzionalità dello spettacolo piuttosto che sull’invenzione schiettamente coreografica. Così fa con Mercuzio, di cui sottolinea il carattere disincantato e ironico fondendo pantomima d’antan da commedia dell’arte a guizzi e salti virtuosistici a cui Valentino Zucchetti, brillante primo ballerino italiano del Royal Ballet, dona la sua notevole personalità scenica. E lo stesso anzi di più fa con Tebaldo, tracotante ‘principe dei gatti’dal salto poderoso, accecato d’odio e preso da una foga violenta senza freni, incarnata dal giovane e talentuoso Nikolas Gaifullin.
I due protagonisti sono introdotti da assoli iniziali, che ci fanno comprendere il loro inevitabile destino: Romeo vola, divora il palcoscenico con quel fantastico salto felpato e sospeso in aria; l’esuberanza giovanile gli fa prendere possesso dell’aria e della terra, quando vi si getta felice dopo una danza a perdifiato: è lì, vive per il qui e ora, pronto a catturare ogni emozione, incurante del futuro. Giulietta a sua volta è vibrante, guizza e palpita di curiosità, dall’alto della bellissima scenografia scultura di David Umemoto ( un solido cupo che si apre rivelando fitte arcate, scalinate all’infinito ma anche muri insormontabili), di fatto anch’essa incombente e significante protagonista dello spettacolo. Dall’altana domina arrogante e distante il potere incarnato da Capuleti, tra le sue pieghe si cercano e nascondono i due innamorati al primo incontro, contro le sue pietre si spezza la loro fuga dopo il drammatico ed efficace duetto di dolore e disperazione che segue l’improvvida uccisione di Tebaldo.
Sono efficaci tocchi teatrali che enucleano in pointes drammatiche quello che la danza di Kobborg lascia fluire attraverso Cojocaru e Polunin. I quali dominano a tal punto la tecnica da far sgorgare il movimento sia grande che minimale con assoluta naturalezza, innervandolo ora di esuberanza, ora di struggente tenerezza ( bello il gesto complice di cercare la propria stella in cielo con un uso naturalissimo delle braccia al cielo), ora di tragica sofferenza.
Tra le maggiori interpreti della scena internazionale, celebre per la musicalità del suo legato e la caratura drammatica dei suoi personaggi che rimanda a Carla Fracci, Cojocaru è luminosa e fragile in bianco virginale, sconvolta e tragica nel rosso del sangue di Tebaldo che segna la fine del sogno. Da parte sua, in un ruolo a tutto tondo -come quelli del repertorio che speriamo comunque non abbandoni del tutto- Polunin ha la possibilità di mostrare la sua levatura di interprete febbrile e magnetico, affascinante per l’incredibile naturalezza con la quale riesce a declinare il più complesso degli enchainements ma anche a svelare tenerezza e passione, dolore e smarrimento con una verità che va oltre i cliché e gli escamotage delle più tradizionali prassi interpretative.
Nel presentare questa produzione di Romeo e Giulietta Polunin aveva sottolineato l’intenzione di dimostrare che anche nel nostro tempo il balletto di ascendenza classica può essere una forma d’arte vitale e può parlare al più grande pubblico. Arrivare all’Arena aveva il sapore di una grande sfida, non solo con se stesso. Direi che è stata vinta, ampiamente. Ma soprattutto ha indicato una strada da proseguire.
foto di apertura di Stephanie Pistel