Con il Marijnsky la danza trionfa al Ravenna Festival. Ma fino a quando?

Lago dei Cigni, Giselle e un trittico sul Novecento coreografico. Con questi tre programmi ‘bomba’ il Teatro Marijnsky di San Pietroburgo ha portato al Ravenna Festival il suo Balletto e la sua Orchestra. Il pubblico ovviamente è accorso. Evidenziando così un ennesimo paradosso italiano – Silvia Poletti

Il Balletto del Teatro Marijnsky di San Pietroburgo è ripartito da Ravenna con il mirabile risultato di aver portato in una settimana di spettacoli più di seimila persone a teatro. Grandi e bambini, cultori della materia e amanti dell’arte concettuale incuriositi dal confronto con l’arte antica, romagnoli doc e spettatori da altre – molte – regioni limitrofe. Troppa grazia. E infatti apprendiamo da Franco Masotti, direttore artistico del Ravenna Festival insieme a Cristina Mazzavillani Muti e Angelo Nicastro, che quasi sicuramente si è trattato dell’ultimo fuoco d’artificio in fatto di teatro coreografico che il festival si potrà permettere: con la nuova normativa in arrivo nel 2015, spiega, il festival, data la sua natura prettamente musicale, potrà investire sulla proposta di danza solo il 10% del suo budget complessivo. Così se si prevede una spesa artistica di 1 milione, agli spettacoli di danza saranno destinati solo 100 mila euro. Giocoforza una proposta come questa stagione del Marjinsky, oppure l’ospitalità di qualche altro grande complesso o spettacolo internazionale nel cartellone della manifestazione sarà d’ora in poi una chimera – e non a caso c’è già una vittima eccellente: Car Men, dell’amato Matthew Bourne che avrebbe dovuto arrivare a Ravenna nel giugno 2015 e invece è stato inevitabilmente cancellato. E così un festival che negli ultimi anni si è imposto anche per il livello delle proposte internazionali sulla danza – che in un gioco di rifrazioni hanno a loro volta goduto di una nuova autorevolezza per essere entrate in un cartellone musicale di riconosciuto prestigio – rischia di veder disperdere un patrimonio di pubblico fedele e in aumento, meticolosamente costruito.

La constatazione arriva, per coincidenza, lo stesso giorno in cui si annunciano i licenziamenti delle masse artistiche dell’Opera di Roma e, giusto per rimanere in ambito ballettistico nazionale, quando la scervellata ipotesi di affidare il Corpo di Ballo del Maggio Fiorentino a un’impresa esterna – con amministrazione indipendente ma impegnata a gestire in ‘appalto’ quattrini pubblici – è miseramente abortita, lasciando i sedici danzatori stabili ad autogestirsi nelle sterminate sale della nuova Opera di Firenze e – cosa assai più grave – attestando l’inettitudine di chi, ai piani alti dell’istituzione, ne ha gestito e deve gestirne il destino.

La fotografia, così contrastata della situazione reale del settore, tra teatri d’opera che implodono e festival in cui la gente si accalca per assistere alle proposte di alto livello,  fa comunque, inevitabilmente emergere inevitabilmente un interrogativo, la cui formula non deve sembrare solo retorica. Insomma, chi è, davvero, che con leggi e decreti così ottusi da un lato e con una longa manus dall’altra ha permesso tutto questo? Chi è che di fatto mostra una sindrome da gattopardismo congenito? Possibile che  Agis, la Federdanza, l’Anfols, Italiafestival, e via associandosi, non riescano a vigilare o  stoppare o peggio ancora avallino certe castronerie concettuali?

Il valzer dei ministri, si dirà, ha reso tutto quanto estremamente complicato e frammentario. Ma sullo scranno della direzione generale dello Spettacolo dal Vivo, da oltre dieci anni, siede una medesima persona, di fatto interlocutore diretto e onnisciente, che sovrintende, decide e corregge e legifera (in veste, qualche ministro fa, anche di Capo di Gabinetto). È quello che dovrebbe avere una visione d’insieme chiara e nitida e avrebbe dovuto lavorare per questo. Allo stato delle cose (anche in considerazione che il suddetto è stato, tra l’altro, anche commissario in tre fondazioni liriche oggi tra le più disastrate), viene da chiedersi se la sua vera ‘mission’ sia quella di portare l’intero sistema alla paralisi o se anni, fatica, noia, preparazione,  giochi di equilibrismo politico congiurino per un suo ambiguo andamento operativo. Fatto sta che non è così peregrino imputare anche a lui una certa responsabilità del disastrato sistema artistico nazionale.

Vero è che in tutta Europa il teatro musicale e la produzione dello spettacolo dal vivo sono in sofferenza. La crisi economica globale sta colpendo istituzioni supreme in Paesi dove la spesa pubblica per la Cultura è esponenziale rispetto al nostro ridicolo FUS. Ma comunque  nel nostro Paese più che altrove per molti ancora c’è una concezione della gestione della cultura e dello spettacolo basata sull’antico concetto di committenza (padrone /artista) che in casi più retrivi si traduce in bieco clientelismo. Si pensa insomma più alla propria auctoritas che a quella del paese.

Anzi fa pensare proprio a quel che succede in Russia, e proprio al Marijinsky in questione, dove Valeri Gergiev fà e disfa e mette bocca anche nella gestione artistica del celebre e prezioso Balletto. Di fatto è lui che stabilisce cartellone, commissiona nuove produzioni, decide chi, tra gli autori internazionali, invitare. Ora poi che ci sono due Marijnsky (il vecchio e il nuovissimo) e le tournée mondiali da gestire, c’è da smistare iperbolici cast e danzatori, oltre che fare business senza appannare la gloria del teatro.

La visione del direttore d’orchestra così caro a Putin procede per intuizioni e azzardi (la commissione del Sacre du printemps a Sacha Walz è una delle ultime), ma si percepisce la mancanza di un vero progetto artistico organico sul Marijinsky di oggi e domani: a differenza del più agguerrito Bolshoi (che, nei nostri pressi, si potrà vedere a Monte Carlo dal 19 al 21 dicembre prossimi), le scelte sono caute.

Anche nell’editing degli allestimenti dei loro imprescindibili capolavori – come Il lago dei cigni e Giselle visti all’Alighieri – si predilige non spostare una virgola, lasciare tutto come una volta, mantenendone il gusto vetusto, talvolta ingenuo. Lo si vede in certi costumi e acconciature; e soprattutto in una certa stilizzazione pantomimica che cristallizza l’Ottocento e l’enfasi realista sovietica, ammantando così la resa di una patina fanè. Certo,  quando si osserva meglio quella pantomima, o alcuni dettagli stilistici impercettibili, allora come sempre si resta ammirati delle squisitezze mirabili preservate dalla grande scuola pietrorbughese: basti pensare alla caratterizzazione pantomimica (essenziale per il balletto ottocentesco) del vecchio tutore del principe Sigfrido, con l’impercettibile e veritiero continuo ciondolìo della testa; oppure l’uso dello sguardo delle danzatrici chiamate a impersonare ora Cigni, ora Wilis, ora – nel bel trittico che ha chiuso la proposta ravennate – Silfidi: basso e dolente per i primi, melanconico e cupo nelle seconde, lontano e sognante per le ariose creature. E poi la morbidezza delle braccia del corpo di ballo femminile, mosse con un respiro interiore che rende tutta la parte superiore del corpo un ‘cantabile’ che si adagia sulla musica: immagine indelebile che enuclea il significato aristocraticamente etico della danza accademica – quel bello che traduce il buono di una virtù divina, dono solo per pochi eletti.

Come spesso accade nel recente Marijnsky anche a Ravenna il comparto maschile si è rivelato meno interessante del femminile: non a caso ad attirare sguardi e note sono stati due stranieri nelle file della compagnia. Il 21enne coreano formato alla Vaganova Kimin Kim, visto in Giselle e in Rubies, nel trittico a chiusura di programma: salto morbido, guizzo atletico, una personalità teatrale in fieri; o Xander Parish, 24 anni inglese: sobrio e raffinato, un bel ‘principe’ classico e non solo (anche se il suo Apollo è un po’ troppo enfatico nella bellissima versione del balletto che recupera anche la scena del parto di Latona). Tra le soliste conferme dalla prima ballerina Viktoria Tereshkina, scattante, tersa, glamourous e ammiccante in Rubies; promettente nonostante qualche imperdonabile pasticcio nel primo atto di Giselle la bella Kristina Shapran, ma la sorpresa della tournée è Oksana Skorik: la morbidezza del suo busto, il languore pallido delle sue linee, la musicalità del suo fraseggio, terso e cristallino, l’hanno resa un Cigno molto interessante, anche perché vissuto con una sobria ma palpitante partecipazione emotiva.

Visti a Ravenna Festival, Teatro Alighieri di Ravenna il 3, 4 e 5 ottobre 2014

Il Lago dei Cigni
musica di P. I Ciakovsky
coreografia Petipa-Ivanov versione K. Sergeev

Trittico Novecento
Chopiniana
musica F. Chopin
coreografia M.Fokine versione A.Vaganova
Apollon Musagéte
musica: I.Stravinskij
coreografia: G.Balanchine
Rubies
musica:I. Stravinskij
coreografia:G. Balanchine

Giselle
musica: A. Adam
coreografia: J.Coralli, J.Perrot, M. Petipa

Foto gallery copyright Silvia Lelli per cortesia del Ravenna Festival

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3 commenti su “Con il Marijnsky la danza trionfa al Ravenna Festival. Ma fino a quando?

  1. Non so perché Franco Masotti abbia giustificato la cancellazione di “Car Men, dell’amato Matthew Bourne” legandole alle norme del nuovo decreto che dal 2015 disciplinerà le sovvenzioni a valere del FUS. Il vecchio decreto del 2007 (ancora utilizzato nel 2014) non riconosceva per nulla gli spettacoli di danza ai festival musicali. Il nuovo decreto migliora la situazione ammettendo “rappresentazioni di danza per non più del dieci per cento dell’attività programmata”. Nessun cenno al budget ma solo al numero di spettacoli programmati.
    L’affermazione di Masotti riportata nell’articolo da Silvia Poletti diventa ancor più ingiustificata se si tiene conto che il nuovo decreto introduce per la prima volta i festival multidisciplinari, ossia festival che – come il caso di Ravenna – “devono comprendere una pluralità di spettacoli ospitati, prodotti, coprodotti”. Pertanto – se si vuole programmare la danza in modo consistente al fianco della programmazione lirica o musicale – basta fare domanda al Mibact come festival multidisciplinare! La “castroneria concettuale” era nel decreto del 2007 con il quale il Ravenna Festival ha programmato quest’anno e non del nuovo decreto che introduce (grazie anche all’azione di Agis, Federderdanza e Italiafestival – di cui oltretutto è socio anche il Ravenna Festival) finalmente il concetto di multidisciplinarietà. Per verificare quanto scrivo basta leggere il Decreto 1 luglio 2014.
    Francesca Bernabini
    Presidente Federdanza Agis

    • Ringrazio la presidente di Federdanza/Agis per essere prontamente intervenuta.
      Se vorrà, il nostro spazio è ovviamente a disposizione di Franco Masotti per rispondere a quanto gli è chiesto.
      Da parte mia però desidero aggiungere qualcosa che spero chiarisca a chi ci legge perché ho scritto che certe decisioni sono ‘castronerie concettuali’. Troppo spesso e da troppo tempo si continua a giocare, anche nella normativa, con sofismi terminologici che invece di esplicare continuano a disorientare e a ammantare di ambiguità l’interpretazione di un’indicazione (così che vien da sospettare la maliziosa scappatoia per gli uffici ministeriali di far poi quel che vogliono).
      Lei stessa, presidente, temo sia caduta in questo gioco, riportando minuziosamente il fatto che, cito,“. Il vecchio decreto del 2007 (ancora utilizzato nel 2014) non riconosceva per nulla gli spettacoli di danza ai festival musicali. Il nuovo decreto migliora la situazione ammettendo “rappresentazioni di danza per non più del dieci per cento dell’attività programmata”. Nessun cenno al budget ma solo al numero di spettacoli programmati.”
      Da come scritto, per ciò che riguarda questa tipologia di manifestazioni a fronte di una presenza di spettacoli di danza per non più DEL 10% dell’attività programmata‘ non ci sono prescrizioni di BUDGET. Da cui si desume che, anche a suo modo di vedere, nulla vieterebbe ai festival musicali in questione desiderosi di presentare la danza ( ma solo al max 10% dell’attività programmata, beninteso!) di dedicarle il 50, 60, 70 , facciamo l’80% del budget. Suvvia un po’ di realismo. Il bizantinismo in questione sottintende esattamente il contrario, se si vuole essere amministratori assennati. E quindi -impaniati proprio nella libertà di agire ( perchè altrimenti non riconosciuta nel conteggio dei finanziamenti ministeriali) da quel minimale 10% – con budget in ovvia proporzione, festival musicali sensibili alla danza- come ha dimostrato in questi anni Ravenna Festival, tra gli altri- si ritrovano a fare scelte dolorosamente obbligate, che vanno evidentemente a svantaggio della doverosa qualificata proposta di danza anche internazionale che consente al pubblico di approfondire la conoscenza e crearsi una opinione critica doverosa per la crescita culturale del nostro settore. Se questo è migliorare la situazione…
      Il riconoscimento ministeriale di festival multidisciplinari arrivato con il decreto del luglio 2014 probabilmente riequilibrerà le cose. Vedremo. Ma ad oggi ancora molte cose sono da chiarire e comprendere. Gli operatori sono incerti e disorientati, prima di fare passi in una nuova direzione vogliono capire bene cosa aspettarsi, anche in via di finanziamenti. Probabilmente il Ravenna Festival è tra questi. Speriamo che le associazioni di categoria si prodigheranno in questo e per vigilare, successivamente, sull’andamento delle cose- un po’ più lineare e costruttivo, auguriamocelo, di quanto è stato finora.