Car Man quando la danza è Hard-Boiled

Con Car Man presentato in prima nazionale al Ravenna Festival Matthew Bourne ci dimostra che anche il teatro di danza può tingersi di ‘giallo’  e tenere in pugno, ‘senza un attimo di tregua’ l’attenzione del pubblico – Silvia Poletti

Il Ravenna Festival ha da tempo intrecciato un rapporto privilegiato con il coreografo e regista inglese Matthew Bourne. Prima il suo cult Swan Lake, poi l’ambiguo Dorian Gray, poi ancora la malinconica Cinderella fino al gioiello neogothic Sleeping Beauty, la presenza degli spettacoli di Bourne per la sua New Adventures al Teatro Alighieri ha consentito anche al pubblico italiano di cogliere la suprema intelligenza di questo creatore di storie intrise di cultura teatrale e puntuale analisi sociale, ravvivate grazie anche a continue e sofisticate citazioni cinematografiche (che del resto nutrono l’immaginario collettivo dell’uomo moderno pre-globalizzazione) e declinate in una modalità superbamente pop.

Anzi è proprio questo l’irresistibile fascino di questo ‘dancing story teller‘ : saper raccontare con chiarezza, grazie a una drammaturgia serrata, talvolta complessa, dallo sviluppo che rimanda proprio al montaggio cinematografico, disegnando caratteri a tutto tondo, caratterizzati fino al minimo dettaglio gestuale. Poco importa che il vocabolario coreografico non sia particolarmente ricco e talvolta segni il passo (anche se nell’attingere per le sue divagazioni al rigoglioso repertorio del teatro di danza Bourne dimostra di avere approfondita cognizione di causa), qui a convincere è proprio il mirabile impasto di segni, rimandi, citazioni, invenzioni che aiutano Bourne a catturare anche il pubblico più smaliziato e a tenerlo sul bordo della sedia fino a fine spettacolo.

Car Man che ha debuttato in prima nazionale al Ravenna Festival (e dal 14 al 9 agosto è a Londra in scena al Sadlers’Wells con una superstar nel ruolo del fatale Luca, l’étoile brasiliana Marcelo Gomes) gioca ovviamente di rimbalzo con la Carmen di Bizet, da cui prende la musica (anche se nella rivisitazione sardonica di Rodion Schedrin e alcune variazioni di Terry Davies) e i riferimenti drammaturgici: anche qui come nell’opera c’è una creatura ferale che irrompe nelle vite altrui e vi porta scompiglio con la sua prorompente carica erotica, la sua sfrontatezza spregiudicata, la sua fame di libertà.

Ma qui non c’è la zingara, bensì un vagabondo di quelli che si lasciano trasportare dalla vita e dal caso da una cittadina all’altra della sconfinata America rurale in cerca di un lavoretto per sbarcare il lunario: come Hal Carter/William Holden in Pic Nic, o Frank Chambers/ John Garfield – Jack Nicholson delle due belle versioni cinematografiche del Postino suona sempre due volte. Si chiama Luca, è virile, forte,silenzioso e il suo arrivo, nel villaggio di Harmony e nell’officina con annessa tavola calda di Dino e sua moglie Lana, sarà l’inizio della fine. L’alto tasso di erotismo dell’outsider innesca infatti le brame fin lì sopite di donne insoddisfatte e maltrattate e di ragazzini timidi e insicuri; la ‘fiamma del peccato’- per citare un altro titolo cult del grande romanziere e sceneggiatore James Cain che aleggia in ogni scena e ambientazione dello spettacolo – arde e brucia voracemente, le innocenze dei personaggi e le loro vite.

Sono molte le citazioni esplicite, come la danza dei meccanici all’inizio dello spettacolo, che omaggia il Robbins di West Side Story, o la scena della violenza carnale del giovane e incolpevole Angelo (finito in galera al posto di Luca e Lana che hanno ammazzato Dino) da parte del carceriere con una sequenza che rimanda chiaramente all’analoga scena in Manon di MacMillan; ma come dicevamo ci sono molti altri momenti in cui il linguaggio scenico si riverbera in una serie di sottotesti che possono trovare varie sollecitazioni: la danza dei tre beatniks al Club rimanda all’analoga scena di Cenerentola a Parigi, che a sua volta per altro, prendeva in giro i rigori della sacerdotessa modern Martha Graham; l’assolo di Lana sulla seguidilla di Carmen, fa pensare a Roland Petit anche se la dinamica ariosa e sensuale è squisitamente alla Humphrey.

Concepito come un romanzo hard-boiled – e per questo non andiamo oltre nella trama – Car Man, procede come dicevamo con una drammaturgia esemplare costruita tra scene e controscene, ‘tagli’, primi piani di concezione cinematografica. L’estro di Bourne è aiutato come sempre dal genio di Lez Brotherston che immagina ancora una volta un set e dei costumi perfettamente in linea con la visione dell’autore. Ma poi ci sono questi incredibili danzattori capaci di essere il loro personaggio con una verità poetica da grandi interpreti teatrali: da Jonathan Ollivier che dà a Luca tutta l’animalità ma anche la sprovvedutezza del personaggio, alla fresca e vivace Ashley Shaw che come Lana si rivela una dark lady spietata, ai teneri Domic North e Kate Lyons, vittime innocenti del ciclone Luca. Ma tutti danno una lezione di recitardanzando magistrale, contribuendo alla tenuta tersa e vibrante dello spettacolo che corre verso l’inatteso finale, per restare in ambito cinefilo, lasciando tesa l’attenzione “ senza un attimo di tregua”.

Visto al Teatro Alighieri di Ravenna, per il Ravenna Festival– prossime date Londra, Sadler’sWells 14 luglio/9 agosto. Foto di Silvia Lelli