Otello in chiave borghese e formato mignon per i teatri di tradizione dell’Emilia

Al Comunale Pavarotti-Freni di Modena grande successo per un Otello di Verdi coprodotto da cinque teatri di tradizione, con un terzetto vocale di spicco che al veterano Gregory Kunde affiancava l’inedito e sottile Jago di Luca Micheletti. Davide Annachini

I teatri di tradizione svolgono sempre più un ruolo fondamentale nel mondo dell’opera per il fatto di mantenere in vita il grosso repertorio, che nel caso delle altolocate fondazioni liriche richiederebbe un onere di allestimento di prim’ordine mentre nelle storiche realtà di provincia può essere assolto con minori pretese, tanto entusiasmo e proficue coproduzioni interregionali. Quindi l’Otello realizzato dal Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, insieme ai teatri di Piacenza, Reggio Emilia, Novara e Rovigo, rappresentava uno sforzo coraggioso nel portare in scena una delle opere più impegnative del repertorio verdiano (per altro a seguito di un titolo ancora più oneroso come il Don Carlo) con la professionalità di un lavoro di tutto rispetto, forte di alcune frecce al suo arco.

Quindi per giustificare l’economia della messinscena o il ridotto organico corale, un po’ sottomisura per le pretese di una partitura di così ampio respiro – si può ricordare come nell’Ottocento venissero approntate per i teatri più piccoli versioni “ridotte”, quanto a orchestra e coro, dei più celebri grand-opéra – come ad esempio una mini-Aida confezionata su misura già all’epoca di Verdi – in grado di far circuitare i melodrammi più popolari anche sui palcoscenici minori.

Questo era più o meno il caso dell’Otello modenese, ridotto all’osso a livello scenografico da Domenico Franchi e riportato all’epoca di Verdi nei costumi di Artemio Cabassi (luci di Fiammetta Baldiserri), in cui la regia di Italo Nunziata si è mossa con sobrietà, consapevolezza e con alcune intuizioni interessanti nella definizione psicologica dei personaggi, riportati ad una dimensione borghese tardo ottocentesca. Uno spettacolo in grado soprattutto di assecondare le ragioni della musica e della tragedia scespiriana con chiarezza e misura, insieme alla capacità di modularsi alle diverse peculiarità sceniche dei teatri coinvolti nella coproduzione.

L’attrattiva di questa edizione stava comunque nella scelta del cast, che per i nostri giorni – in cui un Otello anche ad alti livelli è difficile da immaginare – si presentava perfettamente centrato. Per quanto Gregory Kunde, alla bella età di quasi settant’anni, abbia mostrato qualche comprensibile appannamento e affievolimento vocale, è stato comunque un Otello a tutto tondo, eroico e sentimentale, impetuoso e struggente, con una tenuta della parte ancora incredibilmente salda e con bellissime intenzioni espressive, soprattutto nelle numerose sfumature richieste da Verdi e disattese quasi sempre dai tenori, anche celeberrimi. Il suo personaggio appassionato e istintivo, dalla recitazione talvolta un po’ ingenua, aveva come contraltare lo Jago rifinitissimo di Luca Micheletti, forse l’elemento più interessante di questa edizione, che alla tradizione satanica e bieca di un malvagio troppo scopertamente esplicito, ha anteposto un cinico dandy, elegante quanto infido, dai modi misurati e dalle strategie lucidamente perverse. Forse è questo lo Jago pensato da Verdi, genio del male sotto la crosta falsamente perbenista, che Micheletti da consumato attore-regista ha cesellato sulla nitidezza della parola, insinuante e spesso sussurrata, come d’altro lato su un canto lucente, sfumato, raffinatissimo, in grado di compensare una certa carenza di ampiezza per poter rispondere ad una vocalità autenticamente verdiana. Anche Francesca Dotto ha avuto modo di imporsi in questo terzetto, perché al di là del canto squisitamente lirico, dal bel legato e dalle preziose mezzevoci e pianissimi, ha delineato una Desdemona meno passiva di quella pensata da Verdi e più vicina a quella di Shakespeare, fiera, autorevole, coraggiosa nel fronteggiare la violenza del marito persino di fronte alla morte. Discreti i personaggi di fianco, dal Cassio di Antonio Mandrillo all’Emilia di Sayumi Kaneko, dal Roderigo di Andrea Galli al Lodovico di Mattia Denti, dal Montano di Alberto Petricca all’araldo di Eugenio Maria Degiacomi.

Leonardo Sini ha diretto con forza e ottime intenzioni l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, affiancata dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza preparato da Corrado Casati insieme alle Voci bianche del Conservatorio Nicolini di Piacenza alla guida di Giorgio Ubaldi, restituendo un Verdi di solido impatto teatrale, vibrante e intenso, accolto dal pubblico con grande calore, in particolare nei confronti dei tre interpreti principali.

 

Visto il 14 gennaio al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena