Otello trionfale a Bologna, complici le voci e la regia di Lavia

Già con “Luisa Miller” il Comunale di Bologna aveva messo a segno una produzione verdiana particolarmente azzeccata benché di non facile realizzazione. Successo ripetuto in occasione dell'”Otello” diretto da Gabriele Lavia, ripensato dopo l’annullamento causa Covid del primo allestimento – Davide Annachini

Il Teatro Comunale di Bologna ha rifatto centro dopo Luisa Miller ancora con Verdi e ancora con due dei protagonisti di quella edizione, grazie a un Otello salutato da un’accoglienza assolutamente entusiasta da parte del pubblico. Questo nuovo allestimento era stato in origine pensato da Gabriele Lavia per PalaDozza – ex arena sportiva trasformata nel tempo in spazio polivalente – ma alla prova generale il Covid ne aveva impedito l’andata in scena. Dopo due anni, nella sala completamente diversa del Bibiena, lo spettacolo è stato radicalmente ripensato e si è imposto per la cifra minimalista ma intensamente giocata sui personaggi e sugli effetti di luce. Con intelligenza Lavia si è riavvicinato al teatro d’opera rispettando innanzi tutto la musica e portando ovviamente la sua esperienza scespiriana, che si è potuta apprezzare in una restituzione meno melodrammatica e più umana di Otello, in una visione meno passiva di Desdemona e in una sottigliezza psicologica del personaggio di Jago, autentico protagonista di questa regia. Anche l’idea di far sparire il coro nel fondo del palcoscenico faceva intuire l’intenzione di leggere l’opera come una tragedia intima più che teatrale, con la complicità della messinscena di Alessandro Camera, giocata fondamentalmente solo su un grande velo drappeggiato con soluzioni diverse a seconda degli atti, dei bellissimi costumi d’epoca di Andrea Viotti e in particolare delle luci suggestive dello stesso Lavia. Uno spettacolo raffinato e misurato, che ha lasciato tutto lo spazio alla musica per poter potersi imporre, soprattutto sul piano vocale, autentico punto di forza dell’edizione bolognese.

Una voce un tempo leggera e virtuosistica quanto ora potente e vibrante come quella di Gregory Kunde fa pensare a un miracolo di trasformismo, tanto più se rapportata alla drammaticità del ruolo di Otello – un vertice assoluto della corda tenorile – e all’età più che matura del cantante americano, che a dispetto degli anni conserva un’impressionante freschezza vocale. Ma Kunde ha dimostrato di crescere non solo per l’impegno del repertorio ma soprattutto come interprete, nel restituire in questo caso un Moro toccante per l’umanità e l’intimismo con cui il personaggio stemperava gli accenti aulici e iperbolici di certa tradizione a favore di una sensibilità ferita, in primo luogo dalla percezione di un fondamentale rifiuto per la propria diversità. Allo stesso tempo la voce ha brillato per ampiezza, nitore e in particolare per la franchezza del registro acuto – raro da ricordare così squillante negli ultimi grandi interpreti di Otello -, che ha fulminato già nell’impervio “Esultate!” di apertura come poi in tutte le esplosive impennate lanciate sopra i fortissimi orchestrali.

Gli ha fatto da contraltare Franco Vassallo, baritono di eccellente scuola vocale, che rispetto alla superba prestazione nella recente Luisa Miller, di impressionante ampiezza e slancio, qui ha stupito al contrario per la capacità di piegare l’emissione a continue sfumature e accenti sottilissimi, nel configurare quel canto discorsivo, insinuante e sommesso, che giustamente dovrebbe suggerire la viscida perfidia di Jago. Si è segnalata sotto questo aspetto la magistrale esecuzione di una pagina difficilissima come il “Sogno”, tutta a fil di voce, insieme alla continua attenzione da parte di Vassallo a non caricare mai a effetto molte frasi strategiche della parte. Un lavoro di fino, il suo, compiuto anche sul controllo dell’azione scenica, tale da raggiungere quell’unità perfetta tra voce e interpretazione tanto ricercata da Verdi quanto raramente risolta dai suoi interpreti, soprattutto in un ruolo complesso come questo, di cui Vassallo – grazie anche alla guida di Lavia – ha saputo offrire un esemplare modello di riferimento. A completare il terzetto protagonistico stava la Desdemona di Mariangela Sicilia, soprano di squisita caratura lirica per il timbro luminoso e la sensibile duttilità nel gestire piani e pianissimi, che hanno avuto modo di figurare in più momenti dell’opera – in primis ovviamente la “Canzone del salce” e l’“Ave Maria”, eseguite splendidamente – insieme ad una presa del ruolo più fiera e disincantata del solito, che in Verdi presenta – rispetto a Shakespeare – un candore talvolta indifendibile. Tra gli interpreti di fianco spiccavano il luminoso Cassio di Marco Miglietta e il solido Lodovico di Luciano Leoni rispetto all’Emilia di Marina Ogii, al Roderigo di Pietro Picone, al Montano di Luca Gallo, all’araldo di Tong Liu.

Al di là della buona prestazione dell’Orchestra e del Coro del Teatro Comunale, quest’ultimo preparato da Gea Garatti Ansini, non ha convinto la direzione di Asher Fisch, per lo più pesante e fragorosa ma soprattutto troppo metronomica nella scansione, che privava l’opera di un respiro vuoi drammatico vuoi sentimentale veramente autentico, irrigidendo la narrazione e ancor più la passionalità dei personaggi in un’inesorabile meccanicità. Peccato, perché con tre protagonisti di questo calibro si sarebbe potuto parlare di un’edizione coi fiocchi. Cosa che non ha impedito però di regalare loro un successo meritatissimo e a tratti addirittura trionfale.

Visto al Teatro Comunale di Bologna il 26 giugno 2022

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2 commenti su “Otello trionfale a Bologna, complici le voci e la regia di Lavia

  1. Definire “particolarmente azzeccata” la messa in scena della Luisa Miller Bolognese richiede una bella dose di fegato. Regia scene costumi luci trucco parrucche affidate a qualcuno che non ha nulla da spartire con il teatro e definirla così, vuol dire copiaincollare la velina dell’ ufficio stampa relativo. E quindi non fare nessun servizio “critico” per chi legge. Il che è tutto dire.

    • Caro amico,

      il fegato lasciamolo ai veneti che lo sanno cucinare divinamente. Ma da che mondo è mondo con la parola “critica” non si designa un articolo necessariamente negativo. Esistono anche “critiche” positive (come sa bene chi ne legge di frequente). Bastava dire: “A me l’allestimento di ‘Luisa Miller’ non è piaciuto”. Il che non esclude che ad altri invece lo sia. Dare del “velinista” non è educato, oltre che, nel caso specifico, mistificatorio. E perdoni la critica. v.f.