Ritorno a Reims

Ritorno a Reims

L’Ostermeier che non ti aspetti. Con “Ritorno a Reims” il celebre regista tedesco fa pensare a Brecht ma ci coglie in contropiede rispetto ai suoi lavori precedenti, con una regia non solo reale ma addirittura iperrealista, che pone domande ineludibiliMaria Grazia Gregori


Lo spettacolo Ritorno a Reims che Thomas Ostermeier, uno dei più importanti registi tedeschi della scena europea, ha tratto dal libro del francese Didier Eribon, filosofo e sociologo, pubblicato anche in Italia, già presentato con successo in Francia, in Inghilterra e in Germania, pensandolo come un format che deve però tenere conto della realtà politica e sociale del paese in cui si rappresenta, ha fatto nascere in me molte domande e riflessioni. La prima – e forse la fondamentale visto che ne sto scrivendo – è stata la sensazione di essere stata presa in contropiede malgrado di Ostermeier avessi già visto altri spettacoli. Era un’altra cosa: non c’era la fisicità talvolta crudele di alcuni suoi lavori né la rivisitazione in chiave personalissima di qualche classico. Questo spettacolo era piuttosto un “pezzo” di realtà, qualcosa che poteva anche appartenere alla nostra vita.

Ho pensato a Brecht che faceva non solo spettacoli tratti da testi ma derivati da documenti, da storie recenti, talvolta personali. Brecht e il suo “non voglio borghesi” mi pare uno dei temi fondamentali di questo lavoro che ci racconta la progressiva emarginazione del proletariato, dei lavoratori, abbandonati dal “grande partito” che non è più vissuto come una difesa nei confronti della borghesia e del capitale. C’è un’incapacità – ci dicono Ostermeier ed Eribon – di comprendere i bisogni, le aspettative di questa gente spesso guidata da una durezza quasi calvinista nel non riuscire a comprendere un certo modo di vivere, chi è diverso da loro, certe scelte come quella dell’omosessualità del resto ancora presente oggi.

L’oggi del regista, dell’autore, degli interpreti di Ritorno a Reims e nostro è pieno di domande che chiedono risposte. Anche se va detto che Ostermeier non è certo uno che mette in dubbio le proprie scelte se non gli sembrano condivise. Brechtianamente potrebbe risponderci il già citato “non voglio borghesi” anche se oggi non ci sono più i proletari di un tempo, quelli che “tirano la lima”, ma c’è chi vorrebbe un cambiamento comunque. Da qui la scelta di molti di cadere nella braccia dell’estrema destra, scelta incomprensibile, ma basta guardare a quello che succede non solo da noi ma anche in Germania e in Francia. E la domanda resta sempre quella: “che fare”?

Ci colpisce che proprio l’autore, nato da una famiglia di operai, diventato professore universitario certamente per le sue capacità ma anche per i sacrifici dei suoi genitori, malgrado si sia allontanato dalla famiglia, soprattutto dal padre comunista tutto di un pezzo che non poteva accettare il Sessantotto, omofobo e incapace di capire la vita e l’essere troztkista del figlio che non avrà mai il coraggio di confessare la sua omosessualità, che guardava e mi sembra guardi ancora oggi all’estrema sinistra non abbia mai voluto “riconoscerlo” come padre. Un distacco grande, durato per 20 anni, senza mai tornare a Reims neppure nel giorno del funerale paterno. Nella città dove ha vissuto tornerà invece per vedere la madre, che morirà poco dopo.

Ritorno a Reims è, dunque, la storia di un ritorno a casa, recuperando immagini sul treno che va e che lo riportano al passato, nel bellissimo e, per me, straziante film che accompagna l’autore. Un film che ha per protagonista una madre, la sua, che morirà di lì a poco e un figlio che è andato altrove, le case popolari abbandonate, la fabbrica che non si vede.

Questa storia si snoda sotto i nostri occhi che vedono le immagini correre sullo schermo di uno studio di registrazione dove ci sono un’attrice, un regista e un direttore del suono. Non è una storia sola perché essa si sovrappone a quella dei tre personaggi che portano i loro nomi: Sonia, Rosario, Tommy. Parallelamente al film dunque c’è la loro storia personale, che nasce dai loro vissuti, dalle loro ribellioni. E da alcune domande che nascono alle vista di spezzoni di realtà passata e recente. Che fare per cambiare le cose? Cosa può fare ognuno con la sua storia? Perché il “grande partito” ha fallito?

Passano immagini di dimostrazioni, pro e contro, passa l’immagine fortissima di Mitterrand che, alla prima elezione come presidente della Repubblica francese, guida per le strade di Parigi una mega manifestazione, il viso di Berlinguer, i cortei contro Salvini ecc. Perché, ci si chiede, quando la sinistra giunge al potere cambia pelle, si trasforma?

Che fare, dunque? Se lo chiede l’attrice interpretata dalla bravissima Sonia Bergamasco. Se lo chiede il Regista sanguigno di Rosario Lisma, se lo chiede il Tecnico del suono Tommy Kuti, che si dichiara nigeriano-italiano, e porta il suo vissuto di emigrato nero, che rivelano se stessi con i loro dubbi, la loro forza, la loro ribellione. Avendo la capacità, difficilissima da ottenere, di guidare il gioco, stando quasi immobili, microfono e pensieri. Ce lo chiediamo anche noi alla fine di questo spettacolo inaspettato, di questo spettacolo non solo reale ma addirittura iperrealista, voluto con coraggio dal Piccolo, al quale continuiamo a pensare.

Visto al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano. Repliche fino al 16 novembre 2019.Foto Masiar Paquali

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Ritorno a Reims
dal libro di Didier Eribon
world copyright Editions Fayard, Paris
traduzione di Annalisa Romani
© 2017 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani
drammaturgia Florian Borchmeyer
traduzione Roberto Menin
regia Thomas Ostermeier
scene Nina Wetzel
light design Erich Schneider
sound design Jochen Jezussek
film Sébastien Dupouey, Thomas Ostermeier
camera Marcus Lenz, Sébastien Dupouey
suono (film) Peter Carstens
musiche Nils Ostendorf
con Sonia Bergamasco, Rosario Lisma, Tommy Kuti
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Fondazione Romaeuropa
in collaborazione con Schaubühne, Berlino
produzione prima versione Schaubühne Berlin con Manchester international Festival, HOME Manchester, Théâtre de la Ville de Paris

 

Un commento su “Ritorno a Reims

  1. Insomma. Diciamo pure così e così. Lettura troppo drammatizzata del testo che a parer mio viene “soffocato” non poco, tempi di scena dilatati, si creano e si percepiscono parecchi vuoti. ….Commuovente però il video e intelligente il taglio del regista tedesco rispetto a un tema delicato e scottante.
    Antonia Mancari