Con settembre riparte, anche se con estrema cautela, gran parte dell’attività della danza. Rassegne e festival sono al debutto. I corpi di ballo tornati in studio. Tutto bene dunque? E soprattutto il periodo che abbiamo vissuto cosa ha evidenziato? Cominciamo la riflessione parlando dei ballerini classici e dei corpi di ballo. -Silvia Poletti
Eppur si muove. Eccome se si muove! E si è mossa. Inscatolata dalla pandemia e relegata nei tinelli e nelle cucine. Oppure telecomandata da input ministeriali che auspicano la sopravvivenza dello spettacolo ‘dal vivo’ in una “Netflix delle Arti’ (10 milioni stanziati nel decreto Rilancio di maggio, su idea di Franceschini che ha pure convocato un gruppo di artisti sulla cresta dell’onda per discutere del progetto: per la danza il più pop di tutti, ovviamente:l’immarcescibile Roberto Bolle). La ‘danza’ si è vista, costantemente. Indefessamente. Anzi, in generale ha dimostrato una resilienza incredibile.
Nel caos gestionale e pur nelle punitive regole anti-covid ha rivelato formidabile spirito imprenditoriale con una incredibile fioritura di piattaforme digitali da cui grandi e piccole star del balletto hanno impartito ‘lezioni’ urbi et orbi. Ha scoperto e sfruttato il valore aggiunto di essere coppia nella vita oltre che nell’ arte (così da essere tra i primi a tornare in scena e danzare senza obbligo di distanziamento!). Ha utilizzato ogni social per modificare il ‘borsino’ dei danzatori più popolari, favoriti, simpatici, creativi, virtuosistici – che non si sa mai che qualche impresario possa invitare ai prossimi gala o qualche casa di moda trasformare in testimonial.
Ma attenzione: tutto questo iperattivismo è stato solo un ingannevole specchietto per le allodole- e per gli allocchi. Di chi si parla, sta a voi deciderlo.
Come più volte accoratamente avvisato da artisti del calibro di Alessandra Ferri o del coreografo Jean Christophe Maillot, la privazione dello spazio in cui fare regolarmente lezione con un maestro pronto a correzioni vere, l’impossibilità di fare prove per lungo tempo è stato -è- un rischio e un danno per l’arte della danza che potrebbe essere irreversibile. E se i singoli si sono attivati con iniziative di cui sopra, la prime vere (inconsapevoli?) vittime della lunghissima sosta rischiano di essere, in toto, le compagnie: organismi delicatissimi, che impiegano anni per raggiungere l’affiatamento e pochi giorni per perdere il magico afflato.
In molti altri paesi dove i ‘Balletti’ sono parte vitale e organica delle istituzioni musicali si è cercato in molti modi di agevolare il lavoro dei danzatori durante il lock down: strisce di pavimenti in linoleum, piccole sbarre etc sono state fornite dai Teatri e appena possibile, con le dovute precauzioni, distanziamenti, organizzazioni di spazi e di tempi, i danzatori sono ritornati in sala ballo. Si è cercato insomma il più possibile di non deteriorare una parte rilevante della propria impresa culturale.
In Italia la rentrée è stata diversa per i corpi di ballo delle varie fondazioni: onore al merito ad Eleonora Abbagnato che a Roma si è data un gran daffare e, di concerto con la Sindaca Raggi e il sovrintendente Fuortes a giugno è riuscita ad avere spazi di prova diversi da quelli del teatro – con tutte le problematiche ad esse connesse- e così andare in produzione già a luglio, con uno spettacolo al Circo Massimo. Lo stesso a Palermo, dove il neodirettore Davide Bombana sostenuto dal ballettofilo sovrintendente Francesco Giambrone ha lavorato alla sua prima creazione in scena ad agosto. Al Teatro alla Scala invece (dove a dicembre arriva, al posto di Frederic Olivieri il nuovo direttore Manuel Legris), il corpo di ballo da marzo è rientrato in sala prove solo il 28 agosto: al buon senso di tutti gli artisti scaligeri essere riusciti a autodisciplinarsi in questi mesi neri.
Una così diversa gestione delle diverse compagnie ‘stabili’ – motivata evidentemente anche da valutazioni economiche e sindacali dei diversi teatri lirici- all’esterno fa emergere solo una cosa. Che sussiste la mancanza di coesione vera, di compatta volontà di agire tutti insieme per la causa comune, di tutela della professione e del suo standard. È stata persa una grande occasione e di fatto, se non ‘indeboliti’ ancor di più, con i loro particolarismi e individualismi i danzatori italiani restano isolati e per questo facilmente manovrabili.