Salviamo l’opera in Arena e ridiamola al mondo

L’anfiteatro romano reca i segni dei troppi eventi pop ma il pubblico della lirica non ha perso memoria dei fasti di un tempo. La “Carmen” di Zeffirelli, resa più snella e funzionale dallo stesso regista, regge ancora magnificamente il palcoscenico. Apprezzabile ma poco emozionante la direzione di Xu Zhong. Nel cast vocale, Luciana D’Intino nel ruolo eponimo stacca tuttiDavide Annachini

L’inaugurazione del 94° festival è stata per l’Arena di Verona senz’altro la più triste della sua gloriosa storia: commissariata di recente e ancora in attesa di ottenere l’accesso ai benefici della legge Bray (che comunque comporterebbero non lievi sacrifici e forti possibilità di ridimensionamento per i dipendenti della Fondazione), l’Arena vive una stagione di grandi incertezze, sempre più comuni alle realtà un tempo felici e oggi in crisi profonda degli ex-enti lirici.

Il rincrescimento aumenta di fronte all’insensibilità politica che sembrerebbe quasi assistere impassibile – per non dire infastidita – al declino del più famoso festival italiano, dando l’idea di ignorarne il grande respiro di livello internazionale, nonché il ritorno economico sulla città, a favore dei sempre più invadenti concerti rock, che come investimento di certo non hanno quello di un’identità artistica precisa e di una programmazione culturale di rilievo pari al festival lirico.

E incredibile appare anche l’indifferenza al rispetto dell’anfiteatro come monumento, a suo tempo controllato a vista da parte delle sovrintendenze artistiche, ma che ora sembra abbandonato a se stesso, dopo che l’uso smodato di tanti concertoni strapopolari ha lasciato il segno sulla storica cavea romana. Mai avevamo notato gradinate così malmesse e degradate (e pensare che il lungo restauro dell’Arena si è concluso in anni recenti) come quelle consegnate al festival veronese, che si è inaugurato in una cornice tristemente ingrigita rispetto a quella dalle bellissime gradinate di marmo rosa cui eravamo abituati.

A ricordare ai veronesi che il festival lirico resta tuttora la realtà più fulgida in grado di far conoscere il nome della loro città a livello mondiale per fortuna sono stati ancora una volta i turisti stranieri che hanno letteralmente invaso l’anfiteatro, partecipando con un’attenzione e un rispetto allo spettacolo di cui non avevamo memoria, per poi scatenarsi in un successo calorosissimo, più simile a un appassionato abbraccio corale.

Un segno di affetto rivolto a una tradizione teatrale unica nel suo genere, a una forma di spettacolo d’inesauribile suggestione, più che a un’edizione memorabile, visto che i tempi correnti non garantiscono più a nessun teatro il segno dell’eccezionalità.

La Carmen di Bizet andata in scena si rifaceva al ventennale allestimento di Franco Zeffirelli, nella versione scremata dallo stesso regista dalla sovrabbondanza di tanti apparati scenografici, che d’altronde ne costituivano la sigla caratterizzante, di un horror vacui ispirato alla grafica di Gustave Doré e a un vitalismo folclorico, affidato alle travolgenti coreografie di El Camborio.

Ora niente Doré e niente Camborio originale, con le sue nacchere e i suoi infuocati passi di flamenco adesso ripresi dal corpo di ballo areniano, ma uno spettacolo più snello e funzionale, che comunque in Arena funziona ancora benissimo, nel solco di una tradizione popolare che non sembra conoscere tramonto. Quindi, ancor più delle scene e della regia di Zeffirelli, apprezzabile soprattutto nella capacità di muovere le masse e di creare comunque uno spettacolo di indubbio impatto, si sono imposti soprattutto i costumi di Anna Anni, tuttora bellissimi.

Sotto il profilo musicale si è trattato di una Carmen apprezzabile anche se non sempre emozionante. La direzione di Xu Zhong, per quanto professionale, ha mostrato una certa lentezza e una debolezza di vitalismo ritmico, che in un’opera come questa significa anche carenza di passionalità e teatralità, senza evidenziare d’altro lato una chiave di lettura veramente originale e personale. L’orchestra, il coro e le voci bianche hanno comunque garantito una validissima risposta, insieme al corpo di ballo areniano.

Nel cast si è imposta Luciana D’Intino, una Carmen forse non sensuale e accattivante sotto il profilo scenico, ma cantante come sempre sicura e misurata, dal timbro pregevole e dagli acuti spavaldi, in grado di distanziare il resto della compagnia, caratterizzata da luci e ombre. Il Don José di Jorge De Leon si è fatto valere soprattutto per la saldezza e lo squillo vocali ma non certo per finezze e fascino interpretativi, mentre l’Escamillo di Dalibor Jenis ha dato il meglio di sé negli slanci acuti più che nel registro medio-grave, tendenzialmente un po’ povero. Molto pregevole e delicata invece la Micaela di Ekaterina Bakanova, soprano di timbro luminoso e di belle sfumature, e complessivamente validi tutti gli interpreti minori.

Ma la serata è stata soprattutto il successo delle maestranze dell’Arena, che hanno dimostrato come lo spettacolo non sia solo quello che si vede in scena quanto il risultato del lavoro di un’intera macchina, professionale e appassionata, che ha fatto grande un teatro di levatura storica e che ci auguriamo possa resistere alle difficoltà dei tempi e degli indifferenti quale patrimonio culturale non di Verona ma del mondo.

Visto il 24 giugno all’Arena di Verona. Repliche sino al 27 agosto. Altre opere in programma (sino al 28 agosto) Aida, La Traviata, Turandot, Il Trovatore

Carmen
Opéra-comique in quattro atti
Libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy da Prosper Mérimée
Musica di Georges Bizet
Carmen Luciana D’Intino; Don José Jorge De Leon; Micaela Ekaterina Bakanova; Escamillo Dalibor Jenis; Frasquita Madina Karbeli; Mercedes Clarissa Leopardi; Dancairo Gianfranco Montresor; Remendado Paolo Antognetti; Zuniga Gianluca Breda; Morales Marcello Rosiello
Direttore Xu Zhong
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Anna Anni
Maestro del coro Vito Lombardi
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Coro di voci bianche A.LI.VE diretto da Paolo Facincani