L’inafferrabile natura dell’essere donna. E danzatrice

Al suo terzo lavoro d’autrice Cristiana Morganti, danzatrice iconica di Pina Bausch, continua a interrogarsi sulla complessa natura dell’essere donna e danzatrice. E lo fa con due (anzi tre) straordinarie interpreti che danno vita al suo immaginario ironico e profondo – Silvia Poletti

Non è facile ‘uccidere la madre’. Specialmente se si chiama Pina Bausch. Legami viscerali di arte e vita con quell’artista indecifrabile e umanissima possono condurre allo smarrimento. All’emulazione. All’afasia. La romana Cristiana Morganti – danzatrice iconica del Wuppertal Tanztheater, con quel suo casco di ricci neri e le magnifiche braccia canoviane – ha scelto un distacco lieve e progressivo, elaborando gradualmente una ‘visione critica’ del percorso di vita e arte compiuto con quel mostro sacro, nel quale una disarmante voglia di ‘raccontarsi’ ha subito preso forma.

Nei suoi due primi ‘Monologhi danzati’ – Moving with Pina e Jessica and Me –  Cristiana ci ha raccontato attraverso le parole e la danza frammenti della sua autobiografia, non mancando di svelarci alcuni meccanismi creativi del Tanztheater e vari punti di vista ‘in soggettiva’ molto illuminanti. Dalle piéces, immediatamente baciate da gran successo (con importanti appuntamenti internazionali alla Biennale di Lione e al parigino Theatre de la Ville) era già emersa una calviniana leggerezza nel descrivere e descriversi – uno sguardo partecipe ma ironico, pronto a cogliere propri e altrui tic, raccontati con spigliato disincanto e trascolorati poi in una danza sospesa e trasognata, rivelatrice di fragilità e timori, sogni e speranze.

Ora però, e necessariamente, è arrivato il passo ulteriore. Staccarsi, almeno un po’, dalla creazione, affidando ad altri la narrazione del proprio mondo visionario e il proprio modo di leggere la vita; magari partendo da un punto comune – nel caso l’essere donna e danzatrice – ma mettendo quella doverosa distanza critica, per poter dare giusti colori e assetti al ‘grande quadro’. E così ecco che è nato A fury tale un duetto al femminile, che dopo l’anteprima assoluta al Festival Civitanova Danza dello scorso agosto è andato in scena al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia per Aperto Festival.

Un duetto che in realtà è un terzetto (o quartetto): perché Cristiana appare in scena, ora ad introdurre la piéce ora a interloquire/confortare/spronare una delle sue interpreti. Poi perché se a Civitanova c’erano Breanna O’Mara e Anna Wehsarg, ora al posto di quest’ultima (in dolce attesa) c’è Anna Fingerhuth. Da due interpreti quasi speculari – entrambe alte, bianche e con lunghi capelli rossi – si è passati così al contrasto tra la morbida Breanna e la quasi androgina nuova compagna: più spigolosa, capelli alla maschietta, sempre rossi però, e una qualità di movimento più nervoso e scattante della sua collega.

Nello sviluppare la piéce, si diceva, Cristiana inizia a prendere le distanze dal materiale autobiografico. Non a caso si presenta come ‘la coreografa’ – l’occhio e la mano esterni, seppure autoriali – di questo dialogo tra due creature che possono essere due amiche, due colleghe, o magari due parti della stessa donna – ora solare, suadente, ondeggiante come le chiome di Breanna; ora urlante, bizzosa, autoritaria come Anna. E mutevole, come gli abiti che le due si infilano e si tolgono – e che occhieggiano a vari stati dell’esser femminile: scapricciate in minigonna, seduttive in tacchi e robe noir, ma anche creature forse fatate tra veli e fiori, burattine manovrate dall’alto, o ‘piccole volpi’, creature selvatiche e furbesche. Insomma l’essere e l’apparire, dato che attraverso la (tanta) danza – ariosa, mutevole, declinata con eclettica disinvoltura, ma sempre pertinente nella drammaturgia che si sviluppa ‘orizzontale’, come una sfilza di pagine intime da sfogliare – filtrano le singole e più sincere emozioni; mentre le parole incasellano rigide o elusive una visione di vita che può essere ribelle o disciplinata.

La furia del titolo allude alla rabbia intesa come spinta vitale; ma qui gli accessi sono stemperati sempre da una grazia lieve, che ironizza proprio sul dualismo della condizione di danzatrice: appunto apparire ideale nella padronanza poetica del gesto e reale nel dolore di un acciacco che, ahimè, affligge e morde il corpo. Un collage di musiche che da arie barocche affonda nell’hard rock e in rumori naturali fa da ambiente a questo dialogo di parole, gesti, corpi che riscrive in maniera originale, sincera e sommessa i modi del Tanztheater che la Morganti ha assorbito dentro la sua carne e la sua intelligenza. Ed è proprio questo che ci piace di più: il ‘cercare’ dentro di sé un modo per uscire dal labirinto in cui spesso gli epigoni si imprigionano. E trovandolo, riuscire a dare nuovi colori e nuovo respiro a quel modo di costruire teatro. Per questo sarà, allora, molto interessante il prossimo impegno dell’impegnatissima Cristiana: la creazione che firmerà per Aterballetto nel 2017, un nuovo importante passo per la definitiva ‘determinazione’ di un’autrice che sa bene ascoltarsi e  raccontarsi.

Visto a Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, Festival Aperto. Per le prossime date degli spettacoli di Cristiana Morganti contattare Il FunaroLa foto di apertura è di Alfredo Anceschi

A fury tale
idea e regia Cristiana Morganti
coreografia Cristiana Morganti
in collaborazione con Breanna O’Mara,Anna Wehsarg, Anna Fingerhurt
collaborazione artistica Kenij Takagi
disegno luci Jacopo Pantani
video Connie Prantera
editing musicale Bernd Kirchhoefer