Io muoio e tu mangi!

Io muoio e tu mangi!

Nel nuovo lavoro dei Quotidiana.com viene posto in luce, con un’evidenza quasi dimostrativa, il contrasto fra la nuda immediatezza del racconto ospedaliero e l’imbarazzo, l’inadeguatezza della nostra società di fronte a un tema cruciale come quello della morteRenato Palazzi


C’è qualcosa di diverso dal solito in Io muoio e tu mangi!, il nuovo spettacolo dei Quotidiana.com, secondo capitolo della trilogia Tutto è bene quel che finisce, presentato al festival “Primavera dei Teatri”. Al centro del consueto, gelido scambio verbale fra i due autori-interpreti, Paola Vannoni e Roberto Scappin, c’è stavolta una vicenda dolorosa, il resoconto da parte di lei – duro, straziante – delle quotidiane visite al padre agonizzante nel reparto geriatrico dell’ospedale, fra medici inadeguati e infermiere indifferenti. Paola descrive il declino fisico del vecchio, il suo lento avvicinarsi alla fine, Roberto fa i suoi commenti più o meno feroci. «Io muoio e tu mangi» è l’eloquente frase rivolta dal genitore al figlio che ha interrotto il pasto per accorrere al suo capezzale.

Il cambiamento di tono, ma anche di taglio complessivo, non è di poco conto. Negli spettacoli dei Quotidiana ci sono sempre dei chiari e diretti riferimenti autobiografici, ma come diluiti in un impasto dialettico più vario e sfaccettato. Qui, invece, mi è parso che questo segmento di dolore puro da cui tutto parte e prende corpo fosse molto più esteso e invadente di quanto normalmente non accada. Si direbbe che sovrasti ogni altra componente, o perché quel sentimento è talmente urgente da dovergli lasciare uno spazio preponderante, o perché è mancato il tempo di finire e rifinire il testo prosciugandolo a dovere. In entrambi i casi, però, questo squilibrio – che magari verrà corretto – non disturba affatto, anzi aiuta a penetrare meglio nel loro metodo di lavoro.

Si coglie bene, così, che quella loro scrittura all’apparenza surreale è nutrita di fatto da forti nuclei di realtà, che poi vengono via via  trasfigurati e tradotti in folgoranti cortocircuiti mentali, lucidi esercizi di cinismo, spericolate incursioni negli impervi territori del non-senso. Questi nuclei di realtà, grandi o piccoli che siano – il passato di Paola con un gruppo di donne dark in Sembra, ma non soffro piuttosto che il penoso attacco di diarrea dello stesso padre di lei in L’anarchico non è fotogenico – sono un reagente che attiva risposte in diverse direzioni, l’esasperazione parodistica di un bla bla filosofico e religioso, ma anche lo sguardo sarcastico sulle dinamiche della relazione di coppia, sempre implicite nei loro dialoghi, o le immancabili riflessioni meta-teatrali.

In Io muoio e tu mangi! viene posto in luce, con un’evidenza quasi dimostrativa, il contrasto fra la nuda immediatezza del racconto ospedaliero, fatto di pannoloni e schizzi di catarro, e l’imbarazzo, l’inadeguatezza della nostra società di fronte a un tema cruciale come quello della morte, soprattutto di una morte attesa e invocata come una liberazione: è emblematico, in questo senso, il ricorso al proverbiale coretto scandito dai tifosi delle Curve nei confronti dei giocatori avversari, Devi mori-re!!! Devi mori-re!!!, che diventa specchio di un’epoca in cui la morte è ridotta a  slogan da stadio. Ed è non meno emblematico l’irridente parallelismo tra l’estrema unzione e le istruzioni delle hostess sui comportamenti da seguire in caso di incidente aereo, ovvero «l’estrema unzione Ryanair».

Fra «pause sensoriali» e citazioni di Karl Kraus, anche in questo spettacolo c’è tutto il repertorio delle spiazzanti invenzioni di questo duo che non punta né alla satira né alla denuncia, né a fare ridere né a fare piangere, ma vuole mettere l’individuo di fronte a se stesso e alla propria pochezza, alla propria incapacità di dare un senso alla vita: c’è la recitazione sottotono, vuota, assente che è ormai un loro marchio di fabbrica, c’è la consueta messa a nudo dell’artificio teatrale («stiamo raggelando l’azione», dice lui. «Ma non c’è azione», risponde lei. «Anche il dialogo è azione», ribatte lui). C’è persino una sorta di fulminea dichiarazione di principi, quasi il mini-manifesto di una poetica: «il buonismo è la cosa più crudele che esista. Devo essere crudele per essere buono».

Ma il filo conduttore di Io muoio e tu mangi! è quell’impietoso spaccato dell’inferno geriatrico, quella cronaca inesorabile di un’esistenza che si va atrocemente spegnendo. Non so se l’attrice abbia davvero perso il padre di recente in quel modo, ma tutto sommato poco importa: c’è, nella sfrontata franchezza della sua esposizione, un sottofondo di sincerità che comunque graffia e fa male. Le varie forme dell’auto-rappresentazione, l’uso diretto di frammenti della propria vita appartengono al bagaglio dei nuovi gruppi di questi anni. Ma l’aspetto inusuale è che qui l’esperienza di un lutto personale venga trasferita pari pari in un contesto da teatro dell’assurdo, un corpo estraneo che diventa però un elemento di rottura stilistica e un potente catalizzatore di pensiero.

Visto a Castrovillari, al festival Primavera dei Teatri

Io muoio e tu mangi!
di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni