Sorprendente e di altissima qualità “Il tamburo di latta” con Nico Holonics; toccante e ricco di emozioni “Collina 731” del greco Aris Biniaris; curioso e interessante “L’infinita parentesi” di Marco Malvaldi con i fratelli Crippa (Maddalenna e Giovanni). Applauditissima anche l'”Antigone” di Konstantinos Ntellas che ha provocato gli anatemi del presidente regionale del FVG – Maria Grazia Gregori
Malgrado l’anatema del governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, di azzerare o quantomeno ridurre drasticamente i finanziamenti di un Festival che ha molti anni di vita – nato dalla visionaria idea europea dello scambio fra le culture dell’allora ministro De Michelis –, in conseguenza di alcune dichiarazioni rilasciate sia ai giornali che a voce da parte del direttore artistico del Festival Haris Pašovic e del regista greco Konstantinos Ntellas, dello spettacolo Antigone (presentato con grandissimo successo), che hanno detto che sì, oggi un’ Antigone potrebbe essere considerata anche la giovane Karola, capitana della nave di volontari, entrata, malgrado la proibizione, nel porto di Lampedusa per mettere in salvo i migranti, perché la disobbedienza di fronte a un’ingiustizia può essere accettata, anzi ne è la conseguenza, Mittelfest 2019 ha messo in campo un nutrito e stimolante programma con alcune proposte molto interessanti e inaspettate. Aldilà della polemica, il governatore farebbe bene ad affacciarvisi.
Fra gli spettacoli visti il più sorprendente, di altissima qualità, è stato Il tamburo di latta del premio Nobel Günter Grass, presentato dal Berliner Ensemble, il teatro – come è noto – fondato da Bertolt Brecht, messo in scena con estrema misura da Oliver Reese e interpretato da un sorprendente, straordinario attore, Nico Holonics, di poco più di trent’anni che per due ore, senza un gesto in più, senza strafare, ma perfetto e creativo dal principio alla fine, ha saputo tenere viva l’attenzione del pubblico, scatenando un’ovazione finale.
Con i pantaloni al ginocchio, le polacchine, i calzettoni a quadri, una giacchina smilza, Holonics ha letteralmente stregato il pubblico raccontando la storia di un bambino, Oskar, destinato a non crescere, deforme, che attende con ansia i tre anni perché la madre gli ha promesso in dono un tamburo di latta. Il tamburo di latta è il simbolo della sua ribellione, della sua intelligenza quasi paranoica, della sua capacità di rompere i vetri con il suono della sua voce. Battendo su questo tamburo, racconterà la storia sua e della sua famiglia sregolata – pensa di avere due padri – rievocando nello stesso tempo la storia della Germania del Novecento, osservatore e protagonista di quel mondo destinato alla distruzione dopo la fine del nazismo e dei suoi orrori. Non sarà cresciuto ma l’Oskar di Nico Holonics su quel palcoscenico coperto di terra scura, con un piccolo banchetto e il suo tamburo, giganteggiava grazie alla bravura, alla semplicità: e per recitare così “semplice”, si sa, bisogna essere grandi attori davvero.
Mi ha colpito anche Collina 731, lo spettacolo greco scritto e musicato oltre che interpretato da Aris Biniaris con Konstantinos Sevdalis dove si racconta la battaglia che vide contrapposti la male armata fanteria greca ai mezzi assai più moderni e potenti dell’esercito italiano inviato a combattere da Mussolini per cercare una vittoria che equilibrasse la presenza in guerra dell’Italia nei confronti delle inarrestabili, sino ad allora, vittorie tedesche. Sappiamo come è andata a finire.
Lo spettacolo si snoda sull’onda di una musica incalzante con i due attori al microfono che cantano, recitano, raccontando l’epopea di una vittoria ma anche la terribile violenza e stolidità della guerra: un’epopea terribile che toglie il fiato, immagini di violenza che si sovrappongo ad altre immagini di violenza – i greci che assaltano al coltello, il mucchio di morti italiani che copre l’intera collina, le grida dei feriti, il non rispetto dei morti. E alla fine la grande pietà che prende tutti dopo essere rimasti letteralmente senza fiato.
Di tutt’altro genere L’infinita parentesi, nuovo testo di Marco Malvaldi, giallista, romanziere e chimico è un testo costruito su di un tema abilmente curioso che tende a mettere di fronte due modi di conoscere, di sapere, di vedere il mondo: quello umanistico e quello scientifico spesso banalmente contrapposti. In effetti i due protagonisti, due fratelli, lei umanista – vive del resto in una casa dalle pareti tappezzate di libri – lui scienziato, apparentemente portato alla praticità e persuaso che il mondo debba essere governato da leggi precise, sembrano diversissimi fra di loro. I due, entrambi professori universitari, si incontrano – possiamo pensare dopo qualche precedente litigata – nella casa di lei, Francesca, per una cena dove lui, Paolo, arriva con una bottiglia di champagne… Ma non c’è nulla da festeggiare anche se lui ha avanzato la propria candidatura per diventare rettore dell’Università. Francesca in realtà, vuole mettere in discussione tutto questo non tanto contro il fratello quanto contro la possibilità che lui si senta il portatore dell’idea di un mondo più rigido, tecnicistico senza quelle aperture che anche la scienza dovrebbe avere e non uno sguardo unico né un’unica cultura. Se fossimo in grado, se davvero volessimo guardare al mondo e al nostro sapere con questo doppio sguardo tutto sarebbe più affascinante, più invitante, ma anche più profondo e saremmo capaci di sfuggire alle secche del pensiero unico. Da questo punto di vista Oppenheimer e il papà di Paperino – dice Malvaldi attraverso Francesca –, Lucrezio e la teoria cinetica dei fluidi contribuirebbero a un sapere più affascinante e complesso se mescolati insieme.
Piero Maccarinelli conduce questo gioco a due a sua volta, si direbbe, coinvolto nel rapporto dei due fratelli mettendo in scena con rigore e con grande attenzione alle sfumature un testo di cui non vuole buttare via neanche una parola. I due fratelli Francesca e Paolo sono due attori fratelli anche nella vita. Lei è Maddalena Crippa che all’inizio sembra volere mettere in difficoltà il fratello a tutti i costi, lui è Giovanni Crippa che quasi ingenuamente sembra credere alle difficoltà che la sorella gli pone di fronte per impedirgli la rincorsa al rettorato. Ma il gioco di lei è maieutico, come ben comprende lui dopo una bella arrabbiatura, abbattendo tutte le riserve di lei e uscendone arricchiti entrambi.