Peli

Peli

Veronica Cruciani coniuga la raffinata scrittura al femminile di Carlotta Corradi in una regia che rivela salda conoscenza dei meccanismi del teatro. Le due donne protagoniste della pièce sono interpretate da altrettanti attori, i bravi Alex Cendron e Alessandro RiceciRenato Palazzi

Che bel testo, intelligente e di raffinata scrittura, è questo Peli di Carlotta Corradi, una giovane drammaturga che dimostra di saper coniugare la freschezza dell’ispirazione con una salda conoscenza dei meccanismi del teatro. È una pièce – vien da dire – un po’ alla Pau Mirò, dove tutto si concentra in un unico, anonimo interno che sembra chiuso alla realtà, ma è continuamente attraversato da un intreccio di minute esistenze col loro carico di delusioni e fallimenti, dove il tono leggero, vagamente minimalista rivela invece via via degli inattesi lampi di ferocia, e uno sguardo sostanzialmente disincantato sulle cose della vita.

Come in Els jugadors dell’autore catalano – Jucatùre, nella versione napoletana di Enrico Ianniello – l’intera azione, se di azione si può parlare, è scandita dall’andamento di una partita a carte: in assenza delle amiche, che hanno (prudentemente) declinato l’invito, Melania e Rossella, due eleganti signore della buona società, giocano da sole, faccia a faccia, a burraco, e mentre giocano iniziano un altro tipo di partita, in questo caso di ordine eminentemente verbale. La posta in palio, come si scoprirà alla fine, non è altro che un’ipotetica – ma forse possibile – verità dei rapporti umani.

L’incontro-scontro, condotto dapprima su toni educati, formali – hanno schifo persino a pronunciare la parola peli – diventa sempre più aspro: le due hanno parecchio da rinfacciarsi. «Ti conosco da quarant’anni e ancora non mi hai detto che ti sei rifatta le labbra». Rossella, la più esposta, ma in fondo la più fragile, ha rapporti inesistenti col marito, si vergogna del figlio gay, si vanta di avere avuto una relazione giovanile col marito, poi morto, dell’altra, Melania. Quest’ultima sapeva ma, per ipocrisia, ha taciuto. Inclina al vittimismo, non vuole abbassarsi a chiedere appoggio quando ne ha bisogno, sta sulle sue: «sei sempre chiusa in casa anche quando esci», secondo la pungente definizione di Rossella.

Quello che ci può essere di prevedibile, di un po’ scontato in questo intarsio di reticenze e ambiguità borghesi è riscattato dalla brillante idea dell’autrice di affidare i ruoli di Melania e Rossella ad attori di sesso maschile. Lo spostamento dell’identità di genere, con la naturale forzatura espressiva che comunque comporta, corregge di per sé quel tanto di già visto che trapela dalle loro schermaglie salottiere, le sottrae all’aneddotica spicciola, proiettandole su un piano di tipicità più straniata e straniante.

Il trucco, il travestimento, l’ostentazione di atteggiamenti femminili sono d’altronde – nella metafora teatrale – il passaggio indispensabile per approdare alla sincerità reciproca rivendicata da Melania, cui si può solo pervenire attraverso un emblematico denudamento. Al culmine dello scontro, le due si insultano, si malmenano, si rotolano a terra lottando fisicamente, come maschi. Si strappano di dosso gli abiti e le parrucche, e ritrovando la propria autentica fisionomia scoprono anche la possibilità di comunicarsi apertamente quell’intimità in precedenza negata.

Fin qui il testo della Corradi, che a questo punto si interseca strettamente con l’asciutta regia di Veronica Cruciani, bravissima nel dosare il crescendo di tensione di questo concitato percorso interiore. In uno spazio totalmente vuoto, salvo le sedie e il tavolino necessari alla partita, guida con mano sicura il delicato apporto degli attori, mantenendolo sempre sospeso sul filo sottile tra realismo e grottesco, senza mai cadere negli eccessi né dell’uno né dell’altro. E sono impeccabili, dal canto loro, Alex Cendron e Alessandro Riceci nel dare credibilità ai personaggi, evitando con cura le insidie della facile caratterizzazione.

Visto al Teatro Elfo Puccini di Milano

Peli
di Carlotta Corradi
regia: Veronica Cruciani
scene e costumi: Barbara Bessi
musiche: Paolo Coletta
luci: Gianni Staropoli
con: Alex Cendron, Alessandro Riceci