Tandem

Il “Tandem” tragico di Civilleri-Lo Sicco

Sono bravissime Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi nell’interpretare il testo costruito attorno a un tandem-scultura. La pièce trasmette tuttavia un senso di incompiuto – Renato Palazzi


Il cuore e il nucleo pulsante di Tandem – il nuovo spettacolo di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, già attori storici della compagnia di Emma Dante e autori, un paio d’anni fa, del fortunato Educazione fisica – è la scultura che sta al centro della scena, opera dell’artista Mario Petriccione: due biciclette saldate insieme su una grossa molla da carrarmato, che consente a chi pedala di spostarle sul loro asse, di inclinarle sia longitudinalmente che trasversalmente, simulando salite e discese, curve vertiginose in cui il mezzo arriva quasi a toccare terra col fianco, per poi risollevarsi senza sforzo. Più che un tandem, è una macchina celibe, uno di quegli oscuri strumenti che fanno quasi tutt’uno con gli attori, e che Kantor definiva «bio-oggetti».

È partendo da quest’opera che Civilleri e Lo Sicco hanno immaginato la situazione alla base della loro proposta. Ne sono partiti in assoluto, perché l’oggetto preesisteva all’idea dello spettacolo, e l’ha totalmente, concretamente ispirata. Ma ne sono partiti anche perché esso condiziona comunque, passo passo, le invenzioni delle due attrici-cicliste, le loro relazioni reciproche. Il tandem è di per sé un veicolo destinato a due passeggeri, che esige intesa, sforzo comune per andare: è la metafora meccanica di una dualità, di un legame. Ed è un elemento decisivo nell’orientare il tipo di azione, che non può essere se non quella di pedalare o di sterzare, ovvero, come avveniva col basket in Educazione fisica, di prodursi in un atto di teatro che è insieme un esercizio sportivo.

Ciò che fanno le due protagoniste, almeno in una fase iniziale, sembra essere proprio questo: una semplice gita in bicicletta, un’atletica, faticosa ma appagante pedalata, una spensierata corsa, verso dove? Verso il mare? Le ragazze, giocosamente, si preparano, si aggiustano i capelli, mettono a punto il tandem, balzano in sella e cominciano a mimare il loro viaggio immobile. Accelerano, frenano, sterzano piegando pericolosamente di lato, e intanto chiacchierano come due adolescenti un po’ svampite, spettegolano sui loro ragazzi, si raccontano episodi del passato. Solo un’arma, una pistola che tentano silenziosamente di sottrarsi l’una con l’altra, sembra alludere a un qualche insospettabile sviluppo tragico, non si sa se di là da venire o già accaduto.

Durante le soste, le ragazze rievocano e imitano persone incontrate anni prima, l’innamorato che una di loro ha esposto, per capriccio, a un crudele pestaggio, l’amico che riparava biciclette, una preside grassa e saggia. Così, a poco a poco, tra presente a passato, si mette a fuoco il problema: le due stanno vivendo – hanno vissuto – un momento di rivolte studentesche. La pistola l’hanno comprata da un malvivente, per dare alle loro lotte una svolta rivoluzionaria. Una è fermamente convinta di questa scelta, l’altra vorrebbe tornare indietro, riportare la pistola a chi gliel’ha venduta. Vorrebbe convincere l’amica a cambiare direzione, ad andare al mare, ma invano. Durante una manifestazione si spara da entrambe le parti, e  la compagna di pedalate resta uccisa.

Ecco, in questo finale imprevedibilmente sanguinoso sta, a mio avviso, il pregio e il limite di Tandem: è infatti interessante l’idea di utilizzare quella trama fisica lieve, quasi trasognata, quella partitura di gag e di minute invenzioni gestuali per raccontare un dramma dei nostri giorni, una storia di violenza di piazza e di morte che vorrebbe richiamarsi addirittura a Carlo Giuliani. Ma allora, per dare davvero un senso a questo racconto, per farlo diventare quel rito di crescita, di accettazione delle brutture della vita che vorrebbe essere, bisognerebbe metterci di più, un altro crescendo, un altro respiro drammaturgico. Servirebbe un testo – seppur frammentario, costruito per accenni – dall’andamento un po’ meno scarno di quello messo a punto da Elena Stancanelli.

Sbaglierò, ma penso che i due ideatori e registi possano e debbano lavorarci ancora. Così com’è, lo spettacolo sembra solo un primo abbozzo, uno “studio” intelligente, carino, pieno di trovate, soprattutto per quanto riguarda l’uso di quell’ingegnosa macchina scenica, ma complessivamente alquanto esile. Le due interpreti, la stessa Lo Sicco e la giovane, incontenibile Veronica Lucchesi – un vero fuoco di fila di smorfie, lazzi, guizzi buffoneschi, fino all’epilogo improvvisamente straziante – sono bravissime nello sfoggiare quell’effervescenza un po’ burattinesca che rimanda più o meno direttamente a un certo stile della Dante. Il tutto, però, rischia appunto di restare soltanto “carino”: non graffia, non ferisce, non prende i tempi giusti per far pensare.

Visto al Teatro i di Milano. In replica fino al 10 febbraio 2014. Nella foto di Andrea Casini le protagoniste dello spettacolo

Tandem
ideazione e regia: Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
testo: Elena Stancanelli
musiche: Davide Livornese
luci: Cristian Zucaro
disegno e costruzione tandem: Mario Petriccione
con: Manuela Lo Sicco, Veronica Lucchesi