Boia di Ateliersi

“Boia” di Ateliersi. C’è vita oltre il graffito

La compagnia bolognese ha intrapreso un articolato progetto performativo basato sulla raccolta e catalogazione delle scritte murali. Tradotte poi in musica, suono, poesiaEnzo Fragassi


Parecchi anni fa, mentre passeggiavo per Firenze con la mia prima reflex al collo – una modesta Olympus OM-10 (funzionava a pellicola, tanto per intenderci su quel “parecchi anni fa”) – rimasi folgorato da un graffito murale, perfetto nella sua sintesi anche se violento: “Cloro al clero”. D’istinto lo fotografai e da allora non so resistere di fronte a una scrittura murale degna di nota. Nulla a che vedere con gli orrendi “tag” che imbrattano selvaggiamente ogni arredo urbano, sia ben chiaro, ma ho sempre pensato che la scritta o il disegno murale corrispondessero al grado zero del bisogno/ossessione di comunicare. Ossia una delle cose che a noi umani riesce meglio e che ci ha permesso, scusate se è poco, di andare sulla luna.

Non avevo mai pensato, invece, che le scritte murali potessero essere trasformate in suoni, musica, perfino in poesia. Ciò riflette evidentemente l’ottusità della mia visione del mondo, che per fortuna non appartiene ai bolognesi Ateliersi  (già Teatrino clandestino, al secolo Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi), protagonisti con la loro creazione Boia di una performance all’aperto allestita sotto un’installazione lignea (una sorta di gazebo futurista), presente nel lussureggiate parco della Venaria Reale di Torino, nell’ambito del festival Teatro a Corte.

In cosa consiste il nucleo narrativo di Boia? Nella giustapposizione, al termine di un lungo lavoro di ricerca e selezione, di decine di frasi, slogan, invettive di oggi come di ieri, lette sui muri, catalogate, collegate e messe in relazione fra loro, sino a formare appunto un insieme organico che a tratti sfiora la poesia. Da “felce e mirtillo” e “vietato vietare” – che rievocano immediatamente l’atmosfera tesa ma spensierata degli anni della contestazione studentesca – a una lunga teoria di “Ti amo”, seguiti ogni volta da un nome femminile diverso, cui fa seguito un’altrettanto lunga e imbarazzante sequela di “… troia” (dove ai puntini occorre sostituire i nomi femminili di cui sopra). Il tutto deposto su un tappeto sonoro a tratti soffuso, a tratti decisamente punk (Silvia Garcia alla batteria, Mauro Sommavilla alla chitarra).

La performance era aperta da una giovane danzatrice di origine cinese, mentre la lettura dei graffiti, in italiano e in inglese, era affidata, oltre che a Fiorenza Menni, a un’altra giovane cinese dal fare altero, dotata di una perfetta dizione inglese. Due scelte, quella dell’inglese e delle giovani performer asiatiche, che mi sono subito parse misteriosamente pertinenti al contesto e in un certo senso necessarie. Solo il giorno appresso, scambiando due chiacchiere con Fiorenza, ho potuto appurare che lo erano. Pertinenti perché l’inglese è, come noto, una lingua molto musicale e internazionale; necessarie perché quelle due giovani italiane d’adozione, giunte a Bologna per motivi di studio, contribuivano con la loro presenza ad allargare i confini all’apparenza angusti di una performance che invece ci ricorda come la cultura del graffito murale rappresenti sin dall’alba dei tempi la forma più formidabile e anarchica di comunicazione a distanza.

Boia, che fa parte di un progetto pluriennale composto da quattro movimenti riuniti sotto il titolo di Urban Spray Lexicon Project, si sviluppa per circa 40 minuti, venendo concluso dalla lettera di un sedicente “writer” costretto fra le mura domestiche dai “domiciliari”, che funge da pretesto per la distribuzione al pubblico di foglietti di carta recanti slogan da replicare a piacimento ovunque lo si ritenga utile (a me è toccato “Noi, i feriti con le turbe”. Poteva andarmi meglio…). In realtà, si tratta di versi tratti da Céline, autore dal cui “Viaggio al termine della notte” Ateliersi ha tratto ispirazione. La performance, nel complesso, non è esente da qualche scollamento che ne pregiudica l’armonioso fluire ma l’idea di fondo è folgorante. Tanto da augurarci che la ricerca intrapresa si manifesti in altri futuri componimenti. A tal fine, mi permetto di sottoporre all’attenzione del collettivo due “perle”, colte passeggiando per Torino: “Stampa chiuderai come la Standa” (letta in via Verdi, zona università) e “psichiatri assassini”, occhieggiante dal porticato di via Po.

Visto nei giardini di Venaria Reale, nell’ambito di Teatro a CorteFoto ©Lorenzo Passoni

Boia
di e con Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi
e con Wang Chun Jia, Liao Ving Ze
alla batteria Silvia Garcia, alla chitarra Mauro Sommavilla
sound design Alessandro Gulino