La pièce delle berlinesi She She Pop e il nuovo lavoro di Latella su Pasolini sono gli spettacoli più importanti e più belli visti nell’edizione del ventennale – Maria Grazia Gregori
“Ma” che sta per madre, anzi per mamma: monosillabo più definitivo che non la parola tutta intera, abbreviazione confidente, tenera, sbrigativa, infantile. Succede, qualche volta, che una parola spalanchi un mondo, riveli sentimenti profondi, segreti. Ma è la parola che dà il titolo al bellissimo spettacolo di Antonio Latella in scena al Festival delle Colline Torinesi, un monologo per attrice sola (Candida Nieri), che racchiude le tante madri di cui Pier Paolo Pasolini ha scritto, parlato, favoleggiato, costruendo film, spettacoli, libri, poesie. Ma come il filo segreto che attraversa tutta la vita di PPP, mamma Medea, mamma Madonna (anzi mamma “di un Cristo comunista”), mamma capinera, mamma Roma….
A quarant’anni dalla tragica morte del grande scrittore, Antonio Latella firma uno spettacolo commovente e sincero, di rara forza drammatica, culmine di un viaggio “dentro” Pasolini durato negli anni spesso scegliendo PPP (come del resto Rainer Werner Fassbinder) come compagno di elezione, di strada. A sentirli insieme questi frammenti fanno venire i brividi: c’è il figlio che muore ammazzato da chissà chi e chiama la mamma in un’agonia simile a un delirio e la madre che dice al figlio “Ma come faccio a dirti addio?”…E c’è la madre-casa, che si interroga come sia possibile amare un figlio “quel” figlio che ”pensa di giorno e si perde di notte” e che crede solo, perduto, come “un topo fra i gatti”.
Ma comprende tutte le madri create da Pasolini e anche la sua vera madre alla quale dedica a sette anni una poesia e da adulto una lirica in friulano (qui citate) e della quale cattura con la macchina da presa il volto sconvolto dal dolore di Maria sotto la croce di Gesù. E che dice parole che vengono da Petrolio, da Porcile, da Pilade, dalle sceneggiature della Ricotta, di Mamma Roma, del Vangelo secondo Matteo, da Salò e le 120 giornate di Sodoma… e dall’ultima sua intervista fatta da Furio Colombo e quel ritornare di “mi ammazzano ma’” che ci colpisce al cuore. Tutto questo mondo, questa tensione fortissima pesa sulle spalle della sola Candida Nieri che ne dà un’interpretazione intensa e inquietante, tesa sulla corda di un sentimento che non è mai urlo, ma che, nella quasi immobilità dell’attrice, assume una forza quasi distruttiva.
Quando lo spettacolo inizia Candida Nieri è seduta su di una sedia. Forse vorrebbe negarsi, addirittura sfuggire alla prova tremenda che aspetta il suo personaggio dai molti volti e dalle molte voci, ma non può farlo costretta da enormi scarpe nere da clown che la inchiodano a terra come fossero dei blocchi di cemento. Di fronte a lei una specie di parete con lampade di tipi diversi appese, oggetti che citano la casa, l’intimità. Se ne sta ripiegata su se stessa tenendo in grembo un fazzoletto bianco che contiene un microfono che rimanda i suoni, il faticoso compitare la parola “ma” e che raccoglie anche il muco del suo naso quasi fosse un’invasata abitata dai personaggi che di volta in volta parlano attraverso di lei, come se fosse attraversata dalle loro voci per poi alzarsi ritta in mezzo alla scena e andarsene alla fine camminando faticosamente sulle sue assurde lunghe scarpe “rubate” alla figuratività pop.
Tutt’altro clima nello spettacolo Testament del gruppo tedesco She She pop (foto). Anche qui il tema trattato è assai serio: il rapporto fra vecchi e giovani, la trasmissione del potere dagli uni agli altri, il grande problema della convivenza fra genitori (in questo caso i padri ma ci sarà anche uno spettacolo in cui saranno di scena le madri) e figli, quando questi ultimi sono diventati ormai adulti, la capacità di fare sentire i vecchi importanti, necessari, il saperli assistere in casi di drammatica necessità. Per compiere questo giro senza rete nelle diverse età dell’uomo (e della donna) si parte dal Lear di Shakespeare dove si parla di un re che decide di dividere il suo regno fra le tre figlie che però avranno l’obbligo, a rotazione, di accoglierlo con il suo seguito di dignitari per alcuni mesi.
L’importante è scegliere un’ottica da cui partire perché si sa che è il punto di vista, il modo di vedere, la cosa fondamentale. Come dicono ironicamente le tre ragazze e il ragazzo che interpretano i figli è l’orientamento “il nostro è di sinistra ma poco dogmatico. Un po’ come scegliere le poesie di Gottfried Benn invece di quelle di Bertolt Brecht. Come dire: facendo il verso a Shakespeare è difficile pensare che i propri genitori facciano come “quel” Lear e si presentino in casa dei figli con il seguito di cento fra amici e colleghi a bordo di cento BMW.
Tutto questo messo in scena e interpretato non recitando come nella vita per “fare moderno” (non c’è neppure un momento in cui ci si “dimentichi” di essere a teatro) ma con una semplicità assoluta, gesti estremamente sorvegliati, nessun ammiccamento verso il pubblico. Per farlo bastano una lavagna luminosa sulla quale proiettare le pagine del testo shakespeariano, sottolineando quelle che secondo le She She Pop sono le situazioni, le battute più importanti per il tema trattato. Quello che conta è mantenere sempre e comunque un piano di reciproca libertà e indipendenza, cosa difficile da fare sia per i figli che per i loro padri e la vita in comune è già difficile da affrontare e anche se al posto di un castello ci saranno degli appartamenti di centoquaranta o centocinquanta metri quadri o case molto più piccole, i problemi saranno sempre quelli: dove dormirà il padre? Come conservare ciascuno la propria libertà? Dove il padre potrà mettere i suoi libri? E che dire se in casa con la figlia o il figlio ci sarà anche un marito o un compagno?
Accanto a questi problemi all’apparenza semplici ce ne saranno altri ben più importanti: come comportarsi se il padre non sarà più autosufficiente? Come accettare i suoi cattivi odori, la sua scarsa pulizia? E ancora: come accettare la totale dipendenza del padre da noi senza umiliarlo? La risposta potrebbe essere la trasmissione di esperienze, il “patrimonio” (magari come in questo caso rappresentato da un golfino, da una maglietta, da un paio di pantaloni, da degli stivali) del padre che passa ai figli e i vestiti dei figli che passano ai padri compreso un paio di scarpe con tacco 12, sapere stare vicini rispettandosi, condividere i propri dubbi e paure, facendo in modo di imparare dagli errori altrui… Solo allora si sarà capito il “gioco”, si sarà compiutamente adulti, si potrà cantare insieme Somethin’ stupid, si sarà arrivati a comprendere, come dice Shakespeare, che “ripeness is all”, la maturità è tutto, e non sarà banale che questo avvenga in un soggiorno qualsiasi, con l’aiuto di una qualsiasi lavagna luminosa mentre sullo sfondo ci sono tre schermi dove passano delle immagini.
Magnificamente recitato con una naturalezza stupefacente anche da parte dei padri, Testament ci racconta il nostro oggi, la nostra quotidianità allarmata, la difficoltà della convivenza con un’ironia travolgente e una bravura che lasciano ammirati e conquistano il pubblico. Testament delle She She Pop e Ma di Latella sono senza dubbio, per chi scrive, gli spettacoli più importanti e più belli visti al Festival delle Colline Torinesi, che spiccano in un programma di forte interesse che meglio non potrebbe onorare i vent’anni di vita di questo festival.