Motus, "MDLSX"

Santarcangelo festival, 45 anni in nove giorni e un’anteprima

L’appuntamento con la ricerca teatrale italiana e internazionale si rinnova all’insegna di un teatro “politico”. In apertura l’artista svizzero Milo Rau, che ha lavorato sulla farneticante arringa difensiva del killer di UtoyaEnzo Fragassi


È stata presentata ieri a Bologna la quarantacinquesima edizione del Festival Internazionale del teatro in piazza di Santarcangelo. Un traguardo prestigioso che l’associazione omonima e i Comuni interessati si apprestano a vivere sotto la direzione artistica di Silvia Bottiroli (leggi l’intervista). Lei, quando è nato il festival probabilmente non era ancora neppure nei sogni di mamma e papà ma vanta un curriculum da anni intimamente intrecciato con Santarcangelo e la sua gente.

Gente speciale, i santarcangiolesi, che hanno ormai introiettato nel loro Dna l’apertura al nuovo rappresentato dalle centinaia di artisti che ogni anno arrivano nella località del Riminese, spesso vi trascorrono settimane o mesi in residenza, dialogano, registrano, interagiscono con loro e propongono nei dieci giorni del festival il frutto di tale inedita relazione. Dove? In piazza, naturalmente, quella piazza Ganganelli che sembra fatta apposta per accogliere chi arriva da fuori col suo arco papale beneaugurante.

Si comincia il 9 luglio con alcune “anteprime”, fra le quali l’omaggio al poeta Raffaello Baldini, nato a Santarcangelo, ricordato con una lettura pubblica. Fra gli artisti italiani presenti nel programma (che trovate QUI), troviamo i riminesi Motus, presenti con un progetto rivolto ai giovani sviluppato con l’artista visivo Andreco e con un assolo della bravissima Silvia Calderoni sul tema – quanto mai attuale anche nel dibattito politico – del gender, intitolato MDLSX (foto); presenti anche il ravennate Teatro delle Albe, che ripropone l’intenso Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi; il duo composto da Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, che eseguiranno uno dei loro spettacoli più riusciti dell’ultimo periodo, Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni; i Muta Imago, che interagiranno con la gente del posto in Antologia di S., un progetto sonoro incentrato sulla ricerca di un amore giovanile; e inoltre Collettivo Cinetico, gruppo fra i più interessanti dell’ultima generazione che si muove fra danza e arte performativa, presente con due lavori: Ball Roaming, esperimento di azione collettiva eteroguidata dall’ascolto in cuffia e Cinetico 4.4, dove il gioco di ruolo prova a farsi esperienza artistica.

Fin da questo primo “spaccato” si intuisce il fil rouge che percorre l’intero programma di Santarcangelo 2015 (hashtag #Sant15): il “politico” che entra nel teatro e il teatro che entra nella dimensione politica, ossia nella dimensione pubblica della vita di ciascuno, perché l’uomo, che lo voglia o meno, è e rimane un “animale sociale”.

Certo, a volte l’aspetto più brutale (“animalesco” verrebbe da dire ma sarebbe un errore perché loro, gli animali, non conoscono la brutalità) viene a galla in tutta la sua ferocia: ce lo ricorda l’artista svizzero Milo Rau, che venerdì 10 luglio (data unica) presenta Breivik’s Statement, un lavoro destinato certamente a far discutere che parte dall’arringa difensiva pronunciata dal killer fondamentalista di Utoya (2011, 69 vittime partecipanti a un campus estivo organizzato dalla Lega dei Giovani Lavoratori norvegese, tutte sotto i 20 anni).

Sul fronte degli ospiti internazionali, il festival di Santarcangelo presenta due artisti provenienti da Paesi tanto distanti geograficamente quanto culturalmente come l’Ungheria del leader fascistoide (ma eletto, pare democraticamente) Viktor Orban e la repubblica islamica di Iran, che negli anni post-Ahmadinejad sembra, sia pur faticosamente, volersi aprire al dialogo: si tratta di Béla Pinter e Amir Reza Kooesthani. Il primo mette in scene con Our Secrets la storia di un’emblematica amicizia ambientata negli anni Settanta in forma di teatro musicale; il secondo, regista trentaseienne nativo di Shiraz, già noto in Europa e Canada, ci fornisce un prezioso spaccato dell’Iran odierno. Sono invece frutto di collaborazioni internazionali e residenze le presenze dello svizzero/belga Christophe Meierhans (Some use for your broken clay pots), del collettivo tedesco Ligna (Il grande rifiuto) e dello svedese Markus Ohrn (Azdora). Meierhans ha lavorato con i santarcangelesi sul tema della forma di voto e di governo; il gruppo tedesco, che giunge in Romagna dopo aver soggiornato a Bolzano, Bologna e Genova, immagina la piega che avrebbe potuto prendere la Storia se l’Internazionale Socialista prevista nell’agosto del 1914 avesse avuto luogo e vi avessero prevalso i contrari alla guerra (come noto, andò diversamente). Ohrn infine opera sul confine fra rappresentazione e ricerca antropologica, avendo lavorato con un gruppo di mature signore di Santarcangelo sul tema della “padrona di casa”.

Un’ultima citazione (rimandiamo naturalmente al sito ufficiale per il programma completo, e gli approfondimenti) la merita naturalmente Tino Sehgal, artista 38enne tedesco-britannico con ascendenze indiane, premiato nel 2013 con il Leone d’Oro alla Biennale Arte di Venezia, che ha affidato a Frank Willens e Boris Charmatz (attuale direttore del Museo della Danza di Rennes, in Francia) l’esecuzione di un suo lavoro coreografico datato 2000 (Sehgal nasce infatti coreografo prima di darsi all’arte).

Curiosità: scorrendo il programma, non gridate subito all’errore imbattendovi nei nomi di Mette Edvardsen e Mette Ingvartsen: non trattasi di refuso bensì di due artiste in carne e ossa quasi omonime (l’una norvegese, l’altra danese) che solo la perfidia degli organizzatori può aver inserito nella stessa edizione del festival, mettendo a dura prova la sbadatezza degli ignari osservatori. Per la cronaca, Edvardsen riflette col suo Time has fallen asleep in the afternoon sunshine sul sonno della ragione traendo ispirazione dal celebre romanzo di Ray Bradbury (e film di François Truffaut) Fahrenheit 451, mentre Ingvartsen indaga con 69 positions in materiali d’archivio alla ricerca di connessioni fra politica, sesso e performance artistica. Come si vede, a parte il nome, le cose in comune finiscono lì.

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