In cui si riflette sul successo delle brevi rassegne a tema, ci si interroga sul perché “tifare” (civilmente) si possa allo stadio ma non a teatro e si segnala un antico nuovo fenomeno: torna prepotentemente il “cenacolo domestico” – Renato Palazzi
Illecite visioni, la rassegna di teatro omosessuale organizzata dal Teatro Filodrammatici di Milano e diretta con passione e competenza da Mario Cervio Gualersi (nella foto, una scena di Battuage, di Joele Anastasi), si è svolta per tutte le sue cinque sere di durata davanti a platee ultra-esaurite, con un’affluenza record che ha richiesto file di sedie aggiuntive. Merito, senza dubbio, della qualità delle proposte, che in queste quattro edizioni è sempre stata alta e meditata. Merito di un argomento che, attualmente, è molto sentito, non soltanto dalla comunità gay: basti pensare ai dibattiti sull’identità di genere o al recente coming out vaticano urbi et orbi, che riempiono le prime pagine dei giornali. Ma a mio avviso anche la formula in sé del festival a tema, che concentra tanti titoli e tante realtà produttive in un breve arco di tempo, offrendo la possibilità di confrontare approcci diversi a una stessa materia, esercita un forte richiamo.
In un post della scorsa settimana ho accennato al Fan Club di Mario Perrotta, che agli inizi di settembre si è presentato al suo Milite ignoto con tanto di striscione. Pare che lo stesso Perrotta e Diego Maj, direttore del Teatro Gioia di Piacenza, dove l’attore ha ricevuto il premio della Critica, abbiano sentito il bisogno di prendere una certa distanza dall’iniziativa, raccomandando ai ragazzi del Fan Club e alle loro madri, intervenuti alla cerimonia, di astenersi da eccessi di entusiasmo, d’altronde non previsti. Loro, giustamente, ci sono rimasti male. La scelta di riservare un tifo da stadio a un bravo attore, anziché alla rock star di turno, va considerata una conquista, non una fonte di imbarazzo. Dei diciottenni di oggi sappiamo poco: questa passione esuberante non potrebbe essere il segnale di un nuovo tipo di partecipazione? E ai direttori di teatro non converrebbe incoraggiare la nascita di altri Fan Club, anziché trattare con sufficienza quelli che già ci sono?
Paolo Grassi, che tutto era, tranne un imbonitore, nel ’40, per promuovere La cena delle beffe rappresentata dalla compagnia Ninchi-Dori-Tumiati, di cui era l’organizzatore, si fermava con un “compare” davanti alle vetrine di corso Buenos Aires. Quando qualcuno si avvicinava, faceva in modo di essere sentito mentre diceva all’altro: «Hai visto La cena delle beffe? Devi andare assolutamente. È uno spettacolo bellissimo». Lui sapeva che gli spettatori del teatro vanno conquistati a uno a uno, che ogni spettatore conquistato è un vantaggio per tutti. Sono certo che Grassi, in un caso come questo, avrebbe invitato tutto il Perrotta Fan Club in prima fila, pregando soltanto di tenere lo striscione basso, per non togliere la visuale a chi è seduto dietro.
Forse le attività culturali nelle abitazioni private sono davvero un metodo fra i più efficaci e consoni ai tempi per promuovere l’arte e il pensiero, per diffondere idee provocando il contatto ravvicinato tra gli attori, gli scrittori, gli studiosi e il loro pubblico. Se prima ospitavano soprattutto spettacoli e performance, ora gli spazi delle case accolgono ogni sorta di proposte, dai concerti ai cineforum. Sere fa mi sono trovato nel salotto di un signore milanese, Piero Almasio, economista in pensione, che organizza incontri e dibattiti per gli amici: nell’occasione parlava un regista teatrale, nei prossimi appuntamenti si affronteranno temi di economia e politica. Sono iniziative belle e civili, che consentono di entrare direttamente in relazione con quanto accade intorno a noi. Non ci si lasci ingannare dai piccoli numeri: le venti persone di una riunione del genere faranno proseliti, questi cenacoli intellettuali sono destinati comunque a una crescita esponenziale.