Balletto inaugurale della stagione del Teatro alla Scala 2015/16, “Cinderella” riporta Mauro Bigonzetti sulle scene del Piermarini, dove si sta aprendo la gara per la successione di Makhar Vaziev. Che lascia al prossimo direttore il compito di preservare una compagnia oggi davvero di livello internazionale – Silvia Poletti
La compagnia di balletto che Makhar Vaziev, da marzo 2016 nuovo direttore del Balletto del Bolshoi, lascia al suo successore scaligero è un gioiellino. Qualità artistica, smagliantezza tecnica, un nutrito numero di giovani solisti davvero bravi, capaci di danzare ad ampio respiro, con padronanza scenica e stilistica. Negli anni di direzione al Corpo di Ballo della Scala Vaziev ne ha radicalmente modificato la fisionomia, elevato lo standard e portato, come mai prima, a un livello internazionale. Rinforzata con nuove entrate (molte dall’Accademia scaligera, e qui onore al merito alla guida di Frederic Olivieri che sta forgiando molti giovanissimi talenti ‘classici’), la compagine scaligera ha insomma tutte le carte in regola per diventare, anche non solo formalmente, la compagnia di balletto nazionale italiana.
Del resto, con la chiusura del corpo di ballo dell’Arena, e la situazione precaria a Palermo (ma anche al San Carlo pare non si stia tanto bene), l’antagonista romano dell’Opera, oggi affidato alla direzione di Eleonora Abbagnato sembra l’unico possibile, ma poco probabile rivale per il primato. La scelta della compagnia nazionale è una scelta politica che spetta al ministro. Ma è anche una scelta politica (gestionale) quella di dare più spettacoli al Ballo della Scala (gli artisti maturano in scena) e più produzioni. Dalla scelta del nuovo direttore che il sovrintendente Pereira dovrà fare a breve si capiranno molte cose del destino del Ballo nella strategia della Fondazione.
Tra i nomi ‘papabili’ che con più insistenza circolano in queste ore, accanto a quello di Renato Zanella (già direttore del Wiener Staatsballet e neodimissionario del Ballo dell’Arena) c’è quello di Mauro Bigonzetti. Coreografo di spettro mondiale – viste le sue infinite collaborazioni dal Brasile alla Russia, da New York a Stoccarda – unico in Italia ad aver raggiunto così alti livelli di apprezzamento internazionale e con una esperienza direttoriale alle spalle (Aterballetto dal 1997 al 2007), Bigonzetti è del resto sotto i riflettori per questa Cinderella/Cenerentola che ha appena creato per la compagnia scaligera.
Un lavoro, che lo riporta a distanza di anni sulle scene del Piermarini e che soprattutto lo mette, per la prima volta nella sua carriera, di fronte alla forma del ballet a grand spectacle. Perché tale è Cenerentola, che seppure creata durante la seconda Guerra Mondiale, venne volutamente immaginata dalla coppia Prokofiev-Volkov come un omaggio ai balletti féerie dell’epoca imperiale di Petipa e quindi strutturata proprio secondo le ben note regole dei classici, con scene pantomimiche, variazioni, pas de deux, divertissement, balli d’insieme e così andare. E anche se, come scrisse il musicista, la sua Cenerentola doveva avere i sentimenti e le emozioni della gente reale (e nei magnifici temi che le regala si sente la malinconia dolente e poi l’insperata speranza di felicità che tutti noi abbiamo provato una volta nella vita) c’è sempre l’aspetto fantastico-romantico che ci conduce in ben altre atmosfere.
Vista la nitidezza dell’impianto drammaturgico-musicale per una volta saggiamente Bigonzetti si affida alle indicazioni di Prokofiev e struttura la coreografia seguendo con meticolosità la drammaturgia musicale. Nessun guizzo autoriale astruso, quindi: anche l’unico escamotage della perdita della gonnella anziché della scarpina è molto più inquietante sulla carta che nella realizzazione scenica. Se mai l’inventiva serve a dare il mood alla ricca produzione, complici essenziali il costumista da Oscar Maurizio Millenotti e il light-video designer Carlo Cerri: il primo impegnato a evocare un pertinente Seicento favolistico-pittorico, l’altro con la coppia Grisendi/Noviello a realizzare delle videoproiezioni che di fatto sono una scenografia virtuale, di volta in volta pronta a cambiare location, da freddi androni a palazzi reali, da boschi innevati a giardini magici e a creare effetti speciali (il grande uccello in volo che si trasforma nella fata), con un effetto ‘meraviglia’, a volte però eccessivo.
Il rimando al cinema non è peregrino: fin dall’apparizione della matrigna e le sorellastre – incassate in abiti armatura di foggia Velasquez – impegnate in una sequenza di movimenti di braccia e mani scattosi, geometrici, ritmati e grotteschi rimandi dell’immaginario filmico affollano la memoria: da Cosa sono le nuvole dove Pasolini fa muovere le marionette di Totò e gli altri in una evocazione di Otello (e anche qui i costumi sono di foggia secentesca), al recentissimo Racconto dei Racconti di Matteo Garrone, da Basile (anche se gli stridii della matrigna e la sua capigliatura vengono dritti dritti dalla Regina di Cuori dell‘Alice di Tim Burton). Del resto la fonte primaria del racconto di Cenerella è proprio quella italica seicentesca e allora sembra coerente l’ambientazione selvatica e un po’ rozza, in cui anche il principe non ha la grazia aristocratica ma l’esuberanza virile bellicosa e sensuale simile al principe di Vincent Cassell nel Racconto o al suadente Omar Sharif in un altro film su Cenerentola – C’era una volta di Francesco Rosi.
D’altra parte e forse questo sembra essere anche il limite della scelta stilistica di Bigonzetti, il lirismo, la delicatezza sfumata e piena di grazia e quel senso sospeso e misterioso della magia non sono nelle corde del coreografo, il cui stile è molto atletico, fisicamente arduo, dalle linee barocche ed estreme – negli uomini e paradossalmente ancor più nelle donne (basti pensare alla variazione di Cenerentola quando, con la gamba a 180° deve sollevare di scatto l’anca) – anche se qui l’ascendenza classica della compagnia impone un punto di partenza smaccatamente balanchiniano, cui aggiungere variazioni di velocità, ritmo, peso e inattese divagazioni dinamiche. Tuttavia, nonostante le atmosfere evocate e le suggestioni della musica, manca una vera introspezione psicologica: i personaggi sono dei tipi fissi che si rapportano convenzionalmente, si sente che il carattere della protagonista e il suo amore con il principe sono delineati solo in superficie; a spiccare è soprattutto l’umorismo della matrigna nero, inquietante (Stefania Ballone, nel ruolo, è superbamente ironica, penetrante, incisiva).
Non di meno il balletto nel suo insieme funziona: e scene di massa sono strutturate a effetto, le variazioni impegnano i solisti con spettacolarità, i duetti sono rocamboleschi secondo il tipico Bigonzetti style. Insomma lo sguardo è riempito senza soluzione di continuità, grazie anche al ritmo scattante imposto allo svolgimento, e abilmente porta il pubblico alla piena soddisfazione. Lo provano gli applausi calorosissimi che stanno salutando le rappresentazioni. Alla nostra performance siamo stati felici di vedere la deliziosa, elegantissima e tecnicamente piccante Nicoletta Manni nel ruolo principale accanto al principe gagliardo, dal magnifico salto felpato e dalle accurate nuances dinamiche di Christian Fagetti. Prestigiose le fate capeggiate dalla brava Vittoria Valerio (Chiara Fiandra, Lusymay Di Stefano, Antonina Chapkina, Denise Gazzo) e notevolissimo il quartetto degli amici del prence – Marco Messina, Claudio Coviello, Eugenio Lepera e Walter Madau. L’affiatato trio matrigna e sorellastre vedeva svettare Stefania Ballone e il suo grido arcigno: ma ottime anche Antonella Albano e Virna Toppi. Repliche fino al 15 gennaio 2016 anche con la coppia superstar Polina Semionova e Roberto Bolle.
Visto a Teatro alla Scala, Milano 22 dicembre 2015. Prossime rappresentazioni 30, 31 dicembre 2015; 3,5, 7, 12,14,15 gennaio 2016. In alto Stefania Ballone, Antonella Albano e Virna Toppi, matrigna e sorellastre. Le foto sono di Brescia e Amisano, cortesia Teatro alla Scala