La locandiera

Il testo di Goldoni che il regista Andrea Chiodi ha allestito per la compagnia Proxima res gioca con eleganza sul teatro nel teatro e sullo svelamento degli artifici della rappresentazione. Ma non attinge il nucleo profondo della commedia che segna la fine di un’intera epoca e ne prefigura una nuovaRenato Palazzi

La locandiera che il regista Andrea Chiodi ha allestito per la compagnia Proxima res gioca esplicitamente sul teatro nel teatro e sullo svelamento degli artifici della rappresentazione: tutti i personaggi, in effetti, nello sviluppo della vicenda goldoniana paiono avere via via qualcosa da simulare – nobiluomini spiantati che si fingono danarosi, comiche da strapazzo che si fingono aristocratiche, il cavaliere di Ripafratta che si finge insensibile al fascino femminile, e la stessa Mirandolina che finge di volerlo sedurre per attrarlo in un tranello – e questa trama di finzioni viene assunta, si direbbe, come metafora, come cifra portante dell’intero spettacolo.

Gli attori si sdoppiano, escono dalla parte per poi rientrarvi di continuo solo calzando o sfilando le parrucche e liberandosi di elementi dei loro candidi costumi. Le attrici, all’occorrenza, sono pronte a trasformarsi in figure maschili, a dispetto di qualunque verosimiglianza e senza neppure un vago accenno di immedesimazione. Chi, di volta in volta, non è impegnato nell’azione resta fermo ad ascoltare gli altri ai margini della ribalta, comunque sempre in piena vista. Ognuno dispone di una minuscola copia di sé, un manichino su scala ridotta che indossa un abito uguale al suo, con cui l’interprete in carne e ossa si trova talora a interloquire, in una sorta di spiazzante triangolazione fra l’attore, il personaggio e la sua versione miniaturizzata.

Questi piccoli “doppi” sono disposti, come balocchi infantili, su un enorme tavolo bianco che riempie il palco in tutta la sua lunghezza e costituisce l’unica, vera scenografia, una sorta di praticabile attorno, sopra e sotto il quale si svolgono gli avvenimenti: il sopra, da quanto è dato di capire, è riservato ai gesti più platealmente simulati, il sotto a comportamenti per così dire più segreti. Lo spazio, non a caso, è scandito dagli spostamenti di alcuni appendiabiti a rotelle da cui pendono i costumi. Tra una scena e l’altra ogni attore, a turno, abbandona il proprio personaggio e, con una bianca retina neutra sulla testa, e una sorta di tenuta da schermidore che lo fa sembrare un’entità astratta, quasi incorporea, sostiene il ruolo dell’autore stesso, leggendo a titolo di commento le sue note introduttive e delle pagine dei Mémoires.

Questa rappresentazione nitidamente stilizzata è piacevole ed elegante, formalmente curatissima, e gli attori vi si inseriscono con una fresca e vivace adesione: Mariangela Granelli è una Mirandolina di forte personalità, spavaldamente manipolatrice fin quasi al limite del cinismo, Emiliano Masala un Ripafratta a suo modo amarognolo, sottilmente malinconico, mentre Tindaro Granata conquista la platea divertendosi a disegnare un marchese di Forlimpopoli sul filo di una travolgente esuberanza istrionica, e Caterina Carpio e Francesca Porrini si moltiplicano con la consueta verve nel dare vita ai restanti personaggi.

Si esce, alla fine, con l’impressione di avere assistito a una proposta molto raffinata, molto accattivante, la cui confezione scintillante rischia però di sovrastare ogni ulteriore suggestione registica: La locandiera non è, per intendersi, una qualsiasi commedia goldoniana, è un crocevia del nostro teatro, una livida raffigurazione dei cruciali cambiamenti in atto nella società dell’epoca. Qual è, ad esempio, l’esatto rapporto tra la Mirandolina imprenditrice, tutta tesa a far fruttare la sua azienda, e il mondo maschile che la circonda? Quale il legame tra le sue rivendicazioni di indipendenza e l’uso spregiudicato del proprio fascino nei confronti dell’altro sesso? Tra lo spirito di conquista e il successo negli affari? Sono questioni fondamentali che in questa chiave, purtroppo, non trovano tuttavia una risposta adeguata.

Visto al Teatro Carcano di Milano. Repliche fino al 22 gennaio 2017

La locandiera
di Carlo Goldoni
regia: Andrea Chiodi
scene e costumi: Margherita Baldoni
disegno luci: Marco Grisa
musiche: Daniele D’Angelo
con: Caterina Carpio, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini