La Moda e la Morte

Con questo testo di Magdalena Barile, ispirato alle opere di Giacomo Leopardi, Animanera passa da una pratica performativa allo stato puro, basata sulla provocazione, a una riflessione più impegnativa sull’individuo di fronte alla StoriaRenato Palazzi

È singolare come il gruppo Animanera sia passato da una pratica performativa allo stato puro, basata sulla provocazione, sullo spiazzamento fisico e sensoriale dello spettatore, a spettacoli che trattano soprattutto l’impegnativo tema della storia, del rapporto fra l’individuo e la storia. Affrontavano ovviamente uno snodo cruciale della storia i due testi sul problema del terrorismo, Piombo di Magdalena Barile e Figli senza volto di Ida Farè. Ma un altro modo di leggere un presente già proiettato nella storia era anche il truce affresco del declino dei legami parentali tratteggiato nel dittico Fine famiglia e Senza famiglia, entrambi della Barile. Specie il secondo, attraverso la figura di una nonna rivoluzionaria, introduceva comunque una riflessione sulle ideologie.

La moda e la morte, lo spettacolo presentato di recente all’Elfo Puccini, dell’interesse per questa materia è in un certo senso l’emblema e la sintesi. La Barile parte qui dalle Operette morali, dal Dialogo della Moda e della Morte leopardiano, e nel paradossale confronto fra le due sorelle, figlie della Caducità, che governano i destini dell’uomo – l’una insinuandogli l’illusione dell’immortalità, l’altra rivendicando la propria supremazia – introduce altre presenze simboliche: la Storia, innanzitutto, raffigurata come una nipotina superficiale e capricciosa, che gioca con guerre e rivoluzioni. E poi il torbido e romantico amante di costei, l’attentatore di Sarajevo Gavrilo Prinzip, dal cui gesto nasceranno tutti gli eventi sanguinosi di un intero secolo.

La Barile, che è un’autrice caustica, intelligente, tenta una cifra drammaturgica non troppo comune sui nostri palcoscenici: un apologo metaforico, una sorta di acre commedia filosofica che rilegge Leopardi con l’occhio funereo, pessimista – fatte le debite proporzioni – di un Heiner Müller che si aggira sulle rovine dell’Occidente. L’obiettivo è ambizioso: evocare la fine della Storia, o quanto meno la tendenza a ignorarne i moniti, in una società afflitta dalla perdita della memoria e dominata dal potere dell’economia e dei mercati. L’operazione è interessante, ma le riesce solo in parte: fra lampi di ferocia e rigidità didascaliche, il testo rischia di smarrirsi in un eccesso di astrazioni intellettuali, vuol dire molto, troppo, e diventa a tratti un po’ farraginoso.

Detto questo, va anche aggiunto che la compagnia milanese si giova del confronto con una scrittura di un certo respiro. In questi anni, grazie all’incontro con la Barile, è progressivamente cresciuta e maturata, ha alzato il tiro. Nell’occasione il regista Aldo Cassano mostra una chiara cifra espressiva, tutta giocata su un grottesco esasperato: la scena è un visionario bric-a-brac di oggetti kitsch, teste mozze, bambolotti. L’interpretazione ruota intorno alla scelta di affidare il ruolo della Storia a un attore en travesti, l’esuberante Matthieu Pastore, che tratteggia un’oscena bambinaccia in tutù. Ma molto caratterizzata, sopra le righe, è anche la recitazione delle due lugubri sorelle: più spigliata, più lieve, come richiesto dalla parte, Natascia Curci nei panni della Moda, più fuori misura Benedetta Cesqui in quelli della Morte, mentre Fabrizio Lombardo è lo stralunato figlio del fanatismo politico.

Visto a Milano, al Teatro Elfo Puccini

La moda e la morte
di Magdalena Barile
regia: Aldo Cassano
scene: Valentina Tescari
costumi: Lucia Lapolla
luci: Giuseppe Sordi
con: Benedetta Cesqui, Natascia Curci, Fabrizio Lombardo, Matthieu Pastore