È da tempo ormai che il tradizionale arcoscenico va stretto a quel regista perennemente alla ricerca di nuovi linguaggi che è Antonio Latella. Accade anche in questa pièce dell’amato Fassbinder, in cui il pubblico è rapito dall’impietosa descrizione di una ex stella del cinema tedesco degli anni Trenta – Maria Grazia Gregori
È da tempo ormai che il tradizionale arcoscenico va stretto a quel regista perennemente alla ricerca di nuovi linguaggi che è Antonio Latella, che si ingegna a superarlo in tutti i modi senza mai, però, abbandonare i teatri, dilatando magari all’inverosimile lo spazio sopra, sotto, dietro il palcoscenico.
Nel suo nuovo spettacolo, andato in scena con successo al Teatro Storchi di Modena, dal titolo melodrammatico Ti regalo la mia morte, Veronika l’arcoscenico è superato più volte da un personaggio femminile che indossa una cappa color fucsia, figuretta nervosa che percorre a lunghi passi, per tutta la sua lunghezza, il palcoscenico chiedendo aiuto, a noi, gli spettatori, che ce la troviamo improvvisamente di fronte mentre alle sue spalle una fila di poltrone di legno da vecchio cinema vengono occupate a poco a poco da scimmioni con il pelo bianco, che hanno alle loro spalle uno schermo sul quale poi verranno proiettate delle immagini. Un inizio dal sapore pirandelliano (non mi stupirei se, fra qualche tempo, Latella mettesse in scena quel romanzo misterioso e bellissimo dedicato al cinema che è “Si gira!”) che presuppone diversi piani narrativi per una storia costruita da Rainer Werner Fassbinder attorno a un’attrice famosa negli anni Trenta, stella cinematografica del Reich, caduta in disgrazia dopo la caduta del potere hitleriano. Il suo nome è Veronika Voss protagonista del penultimo film di RWF girato in un rapinoso bianco e nero, figura ispirata al celeberrimo regista da Sybille Schmitz.
Dunque c’è un’attrice, lì al proscenio, che invoca il nostro aiuto, fotogramma impazzito di un film che conosciamo ma che potrebbe tranquillamente essere sconosciuto, mentre gli scimmioni albini che poi – spogliandosi a poco a poco della loro veste bestiale e rimanendo letteralmente in mutande -, si trasformeranno in tanti altri personaggi prendendo spesso la parola. Alle loro spalle c’è uno schermo, che potremmo definire della memoria, dove appaiono ombre, l’immagine di Fassbinder e quella dell’attrice ispiratrice, Sybille Schmitz. Gli scimmioni sono il coro di una storia che viene a sua volta ripresa da una macchina che percorre anch’essa per tutta la lunghezza il palcoscenico avanti e indietro e che idealmente ci trasmette i fotogrammi di questa storia che ci raccontano rispettando la scrittura delle sceneggiature cinematografiche, spesso interrotta dalle vicende e dal peregrinare di Veronika che se ne sta seduta aprendo e chiudendo le gambe con un movimento che più che erotico è nevrotico.
Nella storia siamo coinvolti anche noi perché, seduto in mezzo al pubblico, c’è uno dei personaggi principali della vicenda che Latella stesso e Federico Bellini hanno scritto, come dice il programma, ispirandosi “liberamente alla poetica del cinema fassbinderiano”: è Robert Krohn, giornalista sportivo specializzato in corse di cavalli, che, invaghito della diva vittima della morfina che le viene somministrata in una compiacente clinica di lusso, portandola a un progressivo disfacimento , vorrebbe salvarla sostenendola nel momento in cui viene scritturata per una piccola parte che potrebbe essere per lei una rinascita e, invece, è un fallimento, la sua fine definitiva.
Latella, che di Fassbinder ha giù messo in scena un bellissimo Le lacrime amare di Petra von Kant e che con il passare del tempo fisicamente assomiglia sempre più al suo regista feticcio, firma un omaggio allo stesso tempo appassionato e rigoroso al grande cineasta tedesco condividendone la predilezione per un mondo di sconfitti, di vinti, di cosiddetti “rifiuti della società”, che indaga con amore e passione dichiarando di vederci dei riflessi cechoviani. E cechoviana, del resto, è la pistola che Robert K. porta con sé, pronta a sparare quando meno te lo aspetti, perché si sa, come scriveva Oscar Wilde e come cantava Jeanne Moreau in Querelle, che “ogni uomo uccide ciò che ama”. E cechoviano è il bellissimo finale con un ciliegio che scende dalla soffitta attorno al quale si raccolgono molti degli amatissimi personaggi femminili di RWF: Maria Braun, Martha – vittima di un incidente che la condanna alla carrozzella, schiava di un marito padrone -, il transessuale Elvira di Un anno con tredici lune… un mondo dove Veronika potrà trovare finalmente la pace insieme a queste donne amate/ odiate da Fassbinder, ispiratrici di un cinema e di un teatro carico di tensione che non permette sconti.
Spettacolo non semplice ma affascinante, lucidamente impietoso, Ti regalo la mia morte Veronika è interpretato da un gruppo affiatato di attori (Valentina Acca, Candida Nieri, Caterina Carpio, Nicole Kehrberger, Fabio Pasquini, Maurizio Rippa) mentre Massimo Albarello, Sebastiano Di Bella, Fabio Belillo sono le ombre. Veronika Voss è interpretata da una bravissima Monica Piseddu che Latella ha scelto dopo il forfait di Isabella Ferrari (dice all’inizio l’attrice “questa parte non è mai stata scritta per me”) e da Annibale Pavone che è Robert, l’unico uomo al quale è permesso, dopo la morte, di entrare nel magico giardino dei ciliegi e dei passi perduti.
Ti regalo la mia morte, Veronika
di Federico Bellini e Antonio Latella
liberamente ispirato alla poetica del cinema fassbinderiano
regia Antonio Latella
con Monica Piseddu
e (in ordine di apparizione) Valentina Acca,Massimo Arbarello, Fabio Bellitti, Caterina Carpio, Sebastiano Di Bella, Nicole Kehrberger, Candida Nieri, Fabio Pasquini, Annibale Pavone, Maurizio Rippa
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione nell’ambito di Progetto Prospero