Angeli dello sterminio

È certo apprezzabile la scelta di Renzo Martinelli e Francesca Garolla, rispettivamente regista e drammaturga del Teatro i di Milano, di mettere mano a un testo poco noto di Testori ma l’operazione di scomporre e ricomporre i già frammentari materiali di un testo difficilissimo da portare in scena approda a risultati oscuri, di difficile comprensioneRenato Palazzi

È certo apprezzabile la scelta di Renzo Martinelli e Francesca Garolla, rispettivamente regista e drammaturga del Teatro i di Milano, di mettere mano a un testo poco noto di Giovanni Testori, Gli angeli dello sterminio, un racconto lungo o romanzo breve, forse incompiuto, scritto nel ’92, poco prima della morte. È una scelta meritoria perché offre l’occasione di accostarsi all’autore da una prospettiva diversa – anche in senso linguistico – da quella fornita dalle opere più canoniche, compresi i Tre lai recentemente allestiti da Martinelli. Ed è una scelta coraggiosa, perché il testo è obiettivamente difficilissimo da portare in scena, direi quasi proibitivo.
Gli angeli dello sterminio è l’affresco di un’Apocalisse prossima o forse già avvenuta, la tumultuosa visione di un evento distruttivo che si abbatte su quella che è la città testoriana per eccellenza, Milano, qualcosa in più dell’orizzonte in cui egli viveva e creava, un paesaggio dell’anima, un inquieto specchio del mondo. Questa forza distruttiva, che colpisce dapprima singoli individui, un uomo che si butta dalle scale, un ragazzo che si sfracella in moto, un detenuto che follemente dà fuoco alla cella del carcere in cui è rinchiuso, dilaga per le strade invase da mucchi di cadaveri, abbatte persino la cattedrale. Alla fine cinquanta motociclisti su rombanti Kawasaki scorrazzano fra le rovine come demoni vendicatori.

C’è, nella descrizione di questa sorta di castigo biblico, qualcosa di estremo e definitivo, come la percezione di una catastrofe morale ormai irredimibile. Già in passato Testori aveva colto i segnali di un periodo fra i più grigi nella storia recente di Milano, la metropoli cinica e indifferente che passa accanto all’agonizzante Riboldi Gino, il giovane tossico protagonista di In exitu, senza praticamente vederlo, l’universo disumanizzato del Post-Hamlet raggelato «in boschi di fabbriche,/ in foreste di gas/ e di cementi,/ orride periferie del tutto-storia,/ licheni di trapani dementi». Ma Gli angeli dello sterminio annunciano davvero la caduta di ogni speranza, l’avvento di un pauroso deserto di valori.

Anche la scrittura non è più quella tracimante, furiosamente inventiva della trilogia degli “scarozzanti” e di tutte le opere teatrali successive, ma si fa molto più letteraria, senza perdere tuttavia la sua incalzante densità: l’andamento di queste pagine assume anzi una cadenza luttuosamente solenne, dal respiro quasi manzoniano, dove le immagini di una modernità degradata si incrociano con echi della peste secentesca. È una scrittura palesemente non destinata alla scena: e infatti Franco Branciaroli, l’unico attore, finora, ad avere tentato di recitarla di fronte a un pubblico, si era limitato però – anni fa – a proporne una semplice lettura.

Il Teatro i tenta di ricavarne una messinscena vera e propria, col rischio di perdere la strada. Ho seguito da sempre con partecipazione il percorso di questa realtà di ridotte dimensioni ma intellettualmente vivacissima, che in una sala di novanta posti, in uno spazio di pochi metri quadrati, ha prodotto spettacoli degni di ribalte ben più grandi e titolate, fra cui il bellissimo Prima della pensione di Thomas Bernhard, l’impegnativo Incendi di Wajdi Mouawad, Lotta di negro e cani di Koltès. Nell’era delle multisale imperanti, i piccoli centri di ricerca come questo diventano ancora più preziosi.

Da qualche tempo, però, il duo Martinelli-Garolla sembra essersi infilato in una trappola dalla quale non solo non riesce a uscire, ma forse neppure ci prova, e anzi continua ostinatamente a incagliarsi sugli stessi ostacoli. Le loro ultime proposte, Piangiamo la scomparsa di Bonn Park del tedesco-coreano Bonn Park, C’è un diritto dell’uomo alla codardia, su opere di Heiner Müller, e ora questo adattamento testoriano hanno caratteristiche più o meno simili: si sceglie di puntare su dei materiali già in qualche modo frammentari, se ne scompone e ricompone la struttura fino a farne dei labili giochi di specchi e alla fine si arriva a dei risultati oscuri, di difficile comprensione.

Nel caso degli Angeli dello sterminio i cupi presagi dell’autore vengono trasposti negli enigmatici scambi verbali fra tre personaggi, un maturo regista-narratore, probabilmente la personificazione di Testori stesso, un giovane e una ragazza nei panni della dame à la flûte, la fatua signora che osserva la caduta della città dalla finestra, con un bicchiere di champagne in mano, prima di scendere a sua volta per le strade a immolarsi al furore dei motociclisti. Il fiammeggiante apologo viene così stemperato in una percezione indiretta, trasversale, dove i rapporti fra i tre balzano in primo piano più dei foschi avvenimenti descritti, che prendono una febbrile consistenza solo nel monologo conclusivo del maestro.

Anche la regia di Martinelli, come sempre raffinata, esteticamente curatissima, tende a una sorta di algida astrazione che non ha molto a che fare con la materia affrontata: quelle figure vestite di bianco, proiettate in un ambiente ugualmente candido, un abbacinante luogo mentale che svela ambigue trasparenze e sonorità artificiosamente amplificate, sono estranee – a mio avviso – alla ribollente corposità della parola testoriana, e anche all’accesa spiritualità che, piaccia o non piaccia, è inestricabilmente legata al suo mondo espressivo.

Fra gli interpreti svetta l’esperto Ruggero Dondi, che infonde un’acre intensità a quel suo ruolo di lucida, dolente guida. I giovani Emanuele Turetta e Liliana Benini se la cavano piuttosto bene, anche se lei, forse, dà l’impressione di essere l’attrice giusta nel posto sbagliato: più che una dama dei salotti milanesi sembra un’ottima allieva della Lezione di Ionesco, piovuta per sbaglio nei territori dello scrittore di Novate.

Visto al Teatro i di Milano. Repliche fino al 29 maggio 2017

Gli angeli dello sterminio
di Giovanni Testori
Drammaturgia: Francesca Garolla e Renzo Martinelli
regia: Renzo Martinelli
luci: Mattia De Pace
suono e video: Fabio Cinicola
con: Ruggero Dondi, Liliana Benini, Emanuele Turetta