Un capolavoro del balletto drammatico del Novecento approda finalmente al Teatro dell’Opera di Roma. Una sorpresa per il pubblico, una sfida per dimostrare la maturità della compagnia diretta da Eleonora Abbagnato. – Silvia Poletti
Manon di Kenneth MacMillan, oltre ad essere il suo lavoro coreografico più riuscito, è ormai assolutamente un classico del repertorio novecentesco. Si tratta come si sa di un balletto drammatico, ispirato alla novella dell’Abate Prevost, che attraverso una danza classica fremente anche se molto accademica è capace di raccontare l’ascesa e la caduta di Manon Lescaut, sedicenne di umili origini ma insaziabile fame di vita, oltre che la corruzione e la violenza della società in cui si muove e soprattutto l’appassionata devozione e tenerezza di Des Grieux per la futile fanciulla.
La struttura mantiene riferimenti alla tradizione del balletto narrativo, con scene di insieme, soli e piccole danze per solisti di vario tipo, teatralmente molto efficace, con caratteri cesellati nel minimo dettaglio, importanti anche nelle controscene, per descrivere con acutezza psicologica l’ambiente di soprusi e di violenze che si celano dietro i pizzi e falpalà di un mondo di mezzo – quello degli avventurieri e delle cortigiane- sempre in bilico tra lo sprofondare nella feccia miserabile dei mendicanti e delle puttane pronte a ripopolare il Nuovo Mondo, o elevarsi -al più – a protagonisti degli Hotels particuliers. Il tutto però senza eccessi, anche se le scabrosità erotiche ci sono, eccome, ma con quella sapienza della sintesi coreografica che traduce uno stupro in una presa o un bacio in una arabesque penché.
Centrali alla drammaturgia -e allo sviluppo dei personaggi ( Manon e Des Grieux, ma anche Manon e il fratello ruffiano e Manon con il verminoso Monsieur De G.) sono i duetti, che offrono agli interpreti momenti di grande bellezza e maestria, con prese volanti, scivolate appassionate, giri turbinosi nell’ amore come nel dolore: difficile non emozionarsi, complice l’appassionato slancio della musica di Jules Massenet.
Insomma, Manon è ormai un testo coreografico di riferimento cui le compagnie che vogliono mantenere legame con la tradizione potranno guardare a lungo. E ha fatto quindi molto bene Eleonora Abbagnato a portare il titolo nella sua terza impegnativa stagione da direttrice del Ballo dell’Opera di Roma. Se in questi anni ha messo i suoi di fronte al più vasto ventaglio di stili ed estetiche, proprio nei ‘neoclassici’ drammatici, dove il carattere e le personalità ( più che il purismo stilistico e l’assoluto accademico) sono valore aggiunto, i ballerini romani possono mettersi meglio in evidenza. Senza contare – incredibilmente- che il teatro di MacMillan era praticamente sconosciuto al pubblico romano che in cinquant’anni aveva avuto solo modo di vedere la sua celebre versione di Romeo e Giulietta.
Fedele fino dall’ opulento allestimento originale di Nicholas Georgiadis l’edizione romana di Manon non ha quindi mancato di affascinare la platea che le ha decretato un giusto successo. Ed in effetti siamo sulla buona strada, anche se per maturare un ruolo, raffinare la recitazione ( che tende in alcuni ad eccedere in macchiettismo), entrare nello stile di un coreografo, bisognerebbe danzare quel titolo tanto e spesso. Si resta se no nel semplice abbozzo, nel quadro di maniera, nell’imitativo e nel citazionistico. Per esempio. in un ruolo da far tremare i polsi ( quello del gaglioffo Lescaut, cinico ruffiano pronto a dominare la squadra di mendicanti quanto di manipolare la scervellata sorella e il suo debole amante) il neosolista Giacomo Castellana è troppo bello ed elegante e soprattutto ancora più concentrato nella resa coreografica ( vedi la variazione da ubriaco nel secondo atto) che nell’infondere malvagità ad un personaggio, del resto interpretato a suo tempo da mostri sacri come lo stesso Nureyev.
Ma è il peccato veniale di un debuttante in cotanto ruolo, in una resa della compagnia che regge: bene Benjamin Pech come arrogante Monsieur G., Damiano Mongelli come l’odioso carceriere del terzo atto, la forte e gagliarda Alessandra Amato nel ruolo dell’amante di Lescaut, le cortigiane e i cavalieri ( menzione ai tre ‘solisti’ che nella loro classica variazione non hanno una sbavatura).
Eleonora Abbagnato si è riservata per sé alcune repliche del balletto per rivestire il ruolo della protagonista. La sua è una Manon superficiale e quasi inconsapevole del proprio destino, egocentrica e vorace -come dimostra l’attacco del suo assolo del secondo atto, momento dal quale la sua interpretazione prende quota. Per questo l’amore con Des Grieux sembra labile e momentaneo: lo stesso Friedmann Vogel, etoile tedesca dalle magnifiche linee classiche, conferisce al suo personaggio un carattere volatile e inconsapevole, che lo rende però eccessivamente elusivo.
Del successo si è detto. Ultima menzione all’orchestra dell’Opera che ha reso giustizia alle belle musiche di Massenet grazie alla guida di Martin Yates
Visto a Roma, Teatro dell’Opera il 27 maggio
Altre repliche 29, 30, 31 maggio 2018
nella foto di Y. Kageyuma Eleonora Abbagnato e Friedmann Vogel