A Pesaro il vaccino è Rossini

L’estate ha concesso ad alcuni teatri e festival di ripartire, seppur con cautela, dopo lo stop forzato del lock-down. In attesa di capire cosa succederà nelle prossime settimane, anche noi di delteatro ci rimettiamo in marcia, sperando che come sempre ci seguiate. Iniziamo da dove ci eravamo lasciati. Con la lirica. E con Rossini. –Davide Annachini

L’iniziativa di riscattarsi dal prolungato silenzio teatrale imposto dal Covid è partita innanzi tutto dai festival estivi, che in maniera diversa hanno cercato di ripartire, nonostante le riduzioni forzate di pubblico e di soluzioni sceniche dovute agli obblighi di distanziamento. Dovendo fare i conti con le masse orchestrali, corali, coreutiche, nonché con gli stessi interpreti impegnati sulla scena, molti teatri hanno preferito optare per concerti o recital vocali, di sicuro più gestibili, o al limite per qualche opera all’ aperto, opportunamente allestita e scremata. Il Rossini Opera Festival di Pesaro è forse stato quello che ha osato di più, riportando la lirica al chiuso di un teatro, pur dovendo fare i conti con molteplici condizionamenti. Non più di due spettatori potevano occupare i palchetti del Teatro Rossini, mentre nella platea completamente svuotata era alloggiata l’orchestra, con l’effetto di una recita per pochi intimi, magari esclusiva ma inevitabilmente anche meno calorosa nell’impatto.

Dei tre titoli in programma hanno forzatamente fatto le spese i due più impegnativi – Moïse ed Elisabetta regina d’Inghilterra, rinviati alla prossima stagione – e di conseguenza quello che ha retto le sorti del festival è stato il lavoro più di corredo, La cambiale di matrimonio, che per la sua stessa struttura di farsa – un’opera della durata di poco più di un’ora, con pochi interpreti, senza coro e un organico orchestrale ridotto – si prestava perfettamente alla situazione. La Cambiale sembrava assumere per altro la cifra augurale di una simbolica rinascita, essendo stata l’opera del debutto di un Gioachino appena diciottenne, che nel genere della farsa comica trovò la sua prima fulminea affermazione. Questa, rispetto alle successive, è forse meno intrigante e originale ma già rivelatrice comunque del futuro genio musicale, per la vaporosità della scrittura, la caratterizzazione dei personaggi, la vis comica della narrazione.

Certamente è un Rossini che necessita anche di esecutori in grado di renderne lo spirito indiavolato e surreale oltre alle insidiose difficoltà esecutive e come sempre, attingendo dal vivaio di voci rossiniane emergenti, il ROF ha riconfermato un fiuto infallibile nel lanciare alcuni giovani specialisti del genere. Difatti a fianco di un collaudatissimo e sempre autorevole Carlo Lepore – basso buffo che nei panni dell’ottuso e avido Tobia Mill, pronto a cedere in sposa la figlia all’avventuriero Slook dietro pagamento di una lauta cambiale – si sono messe in luce alcune promettenti sorprese. Innanzi tutto il baritono ucraino Iurii Samoilov, voce ampia e vibrante abbinata a una presenza scenica affascinante e mattatrice, che nei panni del rude Slook, arrivato dal Canada con tanto di orsa-cameriera, ha messo in luce una personalità cantante-attore da tenere d’occhio. Altrettanto interessante è stata poi Giuliana Gianfaldoni come Fannì, per la vocalità penetrante quanto capace di piegarsi a sfumature suggestive e per la disinvoltura scenica, nel restituire una fanciulla non così succube del padre tiranno ma in grado di complottare il buon fine del suo amore clandestino con il tenero Milfort, un convincente anche se un po’ acerbo Davide Giusti. Contribuivano all’intreccio della commedia gli immancabili e trafficoni camerieri, l’intrigante e simpatico Norton di Pablo Galvez e la piccante Clarina di Martiniana Antonie.

Il Sovrintendente del ROF Ernesto Palacio, indimenticato tenore rossiniano dei tempi d’oro, ha pensato di fare omaggio a due colleghi anch’essi tenori, uno di oggi, Dmitry Korchak, l’altro di ieri, Laurence Dale, affidando loro rispettivamente la direzione d’orchestra e la regia dell’opera. Korchak ha mostrato il fatto suo, ottenendo una buona risposta dalla non sempre inappuntabile Sinfonica G. Rossini e dalla agguerrita compagnia di canto, grazie a una lettura chiara e sicura, anche se perfettibile nella varietà dei colori e delle intenzioni espressive, un po’ trattenute per un Rossini bisognoso di sangue vitale. Da parte sua Dale, già attivo da anni nella regia lirica, ha confezionato uno spettacolo nella tradizione (scene e costumi pittoreschi di Gary McCann, luci di Ralph Kopp) ma a suo modo gustoso, oltre che perfettamente al passo con la musica e con l’ironia già inguaribile di un Rossini in erba.

Il festival ha poi portato la musica all’aperto, nella Piazza del Popolo di Pesaro, dove tra i recital di canto con star internazionali (non poteva mancare il beniamino del ROF, Juan Diego Florez, impegnato in rarità rossiniane per tenore) non sono mancati alcuni momenti di interesse come l’immancabile Viaggio a Reims, affidato ai giovani che annualmente si qualificano all’Accademia rossiniana “Alberto Zedda”, tuttora inossidabile nonostante le ventennali riprese grazie all’impagabile regia di Emilio Sagi, o come la suggestiva Petite Messe Solennelle dedicata alle vittime della pandemia, che com’è noto a Pesaro ha lasciato un segno doloroso e che il ROF ha cercato a suo modo di esorcizzare.

foto Studio Amati Bacciardi