“Semiramide” e la Fenice, un connubio fortunato nel nome di Rossini

A 150 dalla morte di Rossini, La Fenice ha riproposto con felici esiti musicali la “Semiramide”, opera che proprio a Venezia aveva debuttato nel 1823Davide Annachini


Nel 1823 Rossini si congedava dal pubblico italiano presentando alla Fenice di Venezia la sua ultima creazione, Semiramide, prima di affrontare la gloriosa stagione parigina e il definitivo ritiro in Francia. Per l’anniversario dei 150 anni dalla sua morte la Fenice di Venezia – città dove per altro il giovanissimo Gioachino aveva mosso i primi passi – ha giustamente pensato di riproporre quest’opera bellissima e impegnativa, tanto più nella versione integrale fedele alla partitura autografa di proprietà dello stesso teatro, che con le sue quattro ore di musica resta insieme al Guillaume Tell la più monumentale fatica del Pesarese.

Opera di estrema arditezza virtuosistica, Semiramide porta lo stile belcantistico ai massimi vertici esecutivi, facendo esprimere i quattro personaggi principali proprio attraverso l’agilità più elaborata e pirotecnica, che diventa non tanto acrobatismo fine a se stesso quanto strumento di un linguaggio espressivo al limite dell’astrazione e del fantastico. I sentimenti e le passioni che animano i protagonisti ispirati alla tragedia di Voltaire trovano quindi nella bravura dei cantanti la loro piena manifestazione tanto più il loro virtuosismo si giustifica in un disegno interpretativo e non si limita al puro effetto. Questo vuol dire che per reggere le sorti di un’opera come questa il quartetto vocale dev’essere costituito da autentici specialisti, in grado di brillare non solo come virtuosi ma soprattutto come interpreti del virtuosismo.

Si può dire che l’edizione veneziana sia andata vicina a questo ideale, nello schierare una delle compagnie più convincenti che si potessero riunire al momento. Jessica Pratt è una belcantista tra le più affidabili e spericolate in circolazione, per la facilità e la precisione con cui affronta i passi vocalmente più arditi con una tenuta apparentemente incrollabile. La sua Semiramide – dichiaratamente impostata sul modello svettante e decorativo della Sutherland piuttosto che su quello mezzosopranile e tragico della Colbran, prima interprete e prima moglie di Rossini – ha rivelato dopo l’iniziale sfoggio virtuosistico dagli appariscenti fuochi d’artificio una presa del personaggio più intima e suggestiva, nel delineare la regina babilonese nelle sue tinte fosche e inquiete come nelle sue ansie di riscatto materno. Le ha dato man forte, soprattutto nei due splendidi duetti, l’Arsace di Teresa Iervolino, mezzosoprano che avrà molto da dire nel prossimo futuro come belcantista per il virtuosismo rifinito, l’intenso colore brunito del timbro, la sensibilità sincera e toccante dell’interprete. Più che una speranza per le giovani leve, come lo è stato Enea Scala nel ruolo di Idreno, nel rivelare una vocalità tenorile incisiva e timbrata, in grado di destreggiarsi -nonostante l’emissione tendenzialmente eroica – tanto nelle acrobazie vocali quanto negli acuti estremi con una franchezza e una disinvoltura spericolate e, di pari passo alla sua spavalda interpretazione del re dell’Indo, un po’ guascona. Nevrotica e spasmodica quella invece di Assur da parte di Alex Esposito, basso dai centri suggestivi a dal fraseggio scolpito, che nella celebre pazzia del personaggio autenticamente noir della storia ha dato il meglio di sé come cantante e attore. Buone per finire le prestazioni di Simon Lin (Oroe), Marta Mari (Azema), Enrico Iviglia (Mitrane), Francesco Milanese (l’ombra di Nino).

A confronto con una partitura immensa, Riccardo Frizza ha dimostrato uno studio stilisticamente accurato e un’ammirevole tenuta esecutiva, con ottimi accompagnamenti al canto e suggestive soluzioni narrative, trovando pronta risposta nell’Orchestra e nel Coro (preparato da Claudio Marino Moretti) del Teatro La Fenice. Lo spettacolo, a firma di Cecilia Ligorio per la regia, viaggiava nei canoni di una misurata tradizione, con un primo atto tutto dorato e un secondo immerso nelle tenebre più profonde, contrapponendo così lo sfarzo della corrotta Babilonia agli abissi inquietanti dell’incombente tragedia. Scene dai grandi fondali abbacinanti (di Nicolas Bovey), costumi tagliati a sbieco e cotonature per una Semiramide anni ’50 in stile Moira Orfei (di Marco Piemontese), coreografie plastiche (di Daisy Ransom Phillips) costituivano la cornice non priva di ingenuità (le grandi fioriere pendenti volevano stilizzare i celebri giardini pensili di Babilonia?) a un’edizione che si è fatta apprezzare e applaudire in toto per i suoi meriti musicali.

Visto al Teatro La Fenice di Venezia il 21 ottobre 2018

Semiramide
Melodramma tragico in due atti
Libretto di Gaetano Rossi dalla Tragédie di Sémiramis di Voltaire
Musica di Gioachino Rossini

Semiramide – Jessica Pratt
Arsace – Teresa Iervolino
Assur – Alex Esposito
Idreno – Enea Scala
Oroe – Simon Lim
Azema – Marta Mari
Mitrane – Enrico Iviglia
L’ombra di Nino – Francesco Milanese

Direttore – Riccardo Frizza
Regia – Cecilia Ligorio
Scene – Nicolas Bovey
Costumi – Marco Piemontese
Movimenti coreografici e ballerina – Daisy Ransom Phillips
ballerine – Olivia Hansson, Elia Lopez Gonzalez, Marika Meoli, Sau-Ching Wong
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro – Claudio Marino Moretti
nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice