Felicissimo ritorno a Verona per la Cenerentola di Rossini, grazie a un’edizione di brillante vivacità, in cui sono emersi due interpreti da segnalare come Maria Kataeva e Carlo Lepore nei ruoli principali. Davide Annachini
La Cenerentola “ossia la bontà in trionfo” di Rossini, per quanto divenuta opera di repertorio negli ultimi cinquant’anni sulla scia dell’enorme successo riscosso dall’edizione firmata da Claudio Abbado e Jean Pierre Ponnelle nel 1971 per il Maggio Musicale Fiorentino e poi per la Scala, era stata rappresentata una sola volta al Teatro Filarmonico di Verona, otto anni fa. Nella scelta di recuperare titoli desueti o mai eseguiti da Fondazione Arena (come i recenti Amleto di Faccio, Stiffelio di Verdi e prossimamente Falstaff di Salieri), la sovrintendente Cecilia Gasdia ha voluto rilanciare quello che può rappresentare il capolavoro del Rossini buffo – al pari del Barbiere di Siviglia o dell’Italiana in Algeri -, oltre che l’ultimo lavoro comico composto dal Pesarese per l’Italia, prima del trasferimento a Parigi. E l’operazione si è rivelata vincente, con grande successo da parte del pubblico, coinvolto dalla geniale musica di Rossini, travolgente e fantasmagorica, come dal libretto irresistibile di Jacopo Ferretti, ricco di doppi sensi e dal linguaggio reinventato, emblema di un teatro surreale tuttora modernissimo e strapparisate.
L’edizione veronese si è rivelata vincente per la bontà dell’esecuzione, che aveva al suo attivo la direzione brillantissima di Francesco Lanzillotta e un cast ben amalgamato, anche se con i dovuti distinguo. Lanzillotta ha proposto un Rossini frenetico, dai crescendo incalzanti e dai tempi rapidissimi (a costo di qualche leggerissimo sfasamento con le voci), non perdendo di vista il lato sentimentale e poetico dell’opera, che per la nota malinconica della protagonista resta un unicum nella produzione buffa rossiniana. Gli organici areniani (maestro del coro Roberto Gabbiani) lo hanno assecondato al meglio, come anche la compagnia di canto, in cui si sono segnalate su tutti due punte di livello.
In primis l’Angelina di Maria Kataeva, mezzosoprano russo dal timbro avvolgente e caldo, dall’estensione omogenea, dal virtuosismo impeccabile, che in questo ruolo ha riconfermato l’ottima impressione già offerta di recente con la sua Rosina del Barbiere pesarese, supportata anche dalla piacevolissima presenza scenica. Altro interprete da segnalare è stato Carlo Lepore nella parte fondamentale di Don Magnifico, nobilitato dalla sua esecuzione sempre misurata nell’espressione e corretta nel canto ma al tempo stesso godibilissima rispetto al cliché grottesco e caricato con cui il personaggio del patrigno, iperbolico e pomposo, cinico e crudele, è stato spesso frainteso, trasformandolo in una maschera caricaturale. Per il resto Alessandro Luongo è stato un brioso Dandini, cameriere travestito per burla da principe, disinvolto sulla scena e valido vocalmente nonostante certa opacità del timbro, Pietro Adaini un Ramiro musicalissimo e convincente, nonostante la scarsa proiezione vocale, che soprattutto sugli acuti rimaneva povera di squillo e brillantezza, Daniela Cappiello (Clorinda) e Valeria Girardello (Tisbe) due sorellastre viperine anche se scenicamente un tantino sopra le righe, Matteo D’Apolito un dignitoso Alidoro, specialmente nella sua difficilissima aria.
Lo spettacolo del Maggio Musicale Fiorentino viveva sulla regia di Manu Lalli (scene di Roberta Lazzeri, costumi di Gianna Poli, luci di Vincenzo Apicella), in più punti debitrice dell’insuperabile messinscena di Ponnelle, ma per il resto felicemente risolta nella mimica dei personaggi e del coro, nei meccanici ritmi scenici e nell’atmosfera fiabesca, che – per quanto non contemplata da Rossini rispetto all’originale di Perrault – ha pur sempre trasportato la vicenda in una dimensione poetica, sognante, divertita e di sicuro impatto sul pubblico, che alla prima ha risposto con grande calore nei confronti di tutti gli interpreti.
Visto al Teatro Filarmonico di Verona il 17 novembre