Il talentuoso drammaturgo inglese Nick Payne applica la regola dell’ “E se…” a ” Costellazioni”, in cui declina in mille variabili possibili gli esiti di un incontro. I bravi Aurora Peres e Jacopo Venturiero diretti da Silvio Peroni si applicano con talento per guidarci in questo gioco dell’amore e del caso – Renato Palazzi
Un uomo e una donna si incontrano per caso a una grigliata da amici, e si scambiano i convenevoli di rito: lui è un apicoltore, lei una docente di fisica teorica. Si piacciono, non si piacciono, hanno voglia di rivedersi? Lei potrebbe essere libera e interessata, lui già impegnato con un’altra. Lui potrebbe essere libero e interessato, lei già impegnata con un altro. Potrebbero essere entrambi liberi e interessati, senza che l’eventuale storia abbia modo di nascere. Potrebbe nascere una storia, destinata a interrompersi perché lei, a un certo punto, va a letto con un collega. Potrebbe nascere una storia destinata a interrompersi perché è lui ad andare a letto con una collega. La storia interrotta potrebbe riprendere quando i due, tempo dopo, si incontrano a un corso di ballo…
Basandosi, con più o meno fondamento, su principi della fisica quantistica e della teoria del caos, il trentaduenne autore inglese Nick Payne parte dall’ipotesi – già presa in considerazione anche dal Ronconi di Infinities – secondo la quale esisterebbe un infinito numero di universi simultanei e paralleli, e che in ciascuno di questi universi si verifichino ad ogni istante gli stessi avvenimenti, ma con esiti via via diversi, con lievi spostamenti che possono determinare risultati del tutto opposti. In Costellazioni, un suo testo del 2012, Payne prova ad applicare questo sistema di sliding doors alle vicende di una coppia, mostrando ogni volta una serie di possibili sviluppi delle azioni dei due, talora con minime varianti, talora con decisivi mutamenti di prospettiva.
In poco più di un’ora, la pièce propone un intarsio di un centinaio di brevi scene, guidando lo spettatore a seguire ed esplorare questa inesauribile molteplicità di percorsi esistenziali che, di fatto, sottolineano il ruolo preponderante del caso a scapito della fiducia in qualche ferreo disegno del destino. Le ripetizioni, i continui riavvolgimenti del nastro della vita possono divertire o esasperare, possono aggiungere o togliere qualcosa all’adesione emotiva della platea. Certo, lo schema scientifico che li governa appare labile e pretestuoso: ciò che sta a cuore a Payne è la tecnica di scrittura, il procedimento in base al quale il nucleo drammatico di una trama, da Pirandello in poi, può essere più efficacemente posto in luce attraverso un meccanismo di scomposizione e ricomposizione.
E infatti le complicazioni sentimentali, apparentemente futili, dei due svelano a poco a poco, per flash, per riferimenti allusivi, un risvolto tragico: in uno degli sviluppi possibili, apprendiamo a poco a poco che lei è malata, che ha un cancro al cervello da cui è compromessa la sua stessa facoltà di parlare e lavorare. Fra i molti possibili universi, ce n’è qualcuno dove il male è al primo stadio, dunque operabile, qualcuno dove è in fase avanzata, ma di incerto decorso, e qualcuno dove è allo stadio terminale. Per sottrarsi a future sofferenze, la donna si prepara a partire per un centro dove si offre la morte assistita. È questo scarto – un po’ melò – il vero asse portante della rappresentazione. È per non depotenziarlo che Payne ci arriva per vie traverse, coprendo le tracce.
Il testo mi è parso interessante, costruito abilmente, più astuto che profondo. Non è la rivelazione che il suo successo internazionale potrebbe far credere, ma data la giovane età dell’autore sembra promettere bene. Lo spettacolo prodotto dalla compagnia Khora Teatro, e diretto con mano ferma da Silvio Peroni, è semplicissimo, quasi spoglio, come una pura tipologia di comportamenti scarnificati nei loro intenti dimostrativi. Il passaggio da una situazione all’altra, da un’ipotesi all’altra avviene “a vista”, annunciato unicamente da un breve cambio di luce, da un suono, senza particolari modificazioni esteriori che alterino i caratteri dei personaggi, il loro aspetto, il loro abbigliamento.
La sua capacità di comunicare è affidata in gran parte alla buona vena degli attori, Aurora Peres e Jacopo Venturiero, due trentenni dal piglio già sicuro, cui basta un gesto, uno sguardo, una parola per evocare dei radicali slittamenti di senso, bravi anche nel passare con costante leggerezza dall’ironia al dolore. È molto intenso, ad esempio, il momento in cui – al culmine della malattia di lei – dialogano nel linguaggio dei sordomuti, riuscendo perfettamente a far intendere ciò che si stanno dicendo in silenzio.
Milano, Teatro Filodrammatici, fino al 13 marzo. Dal 17 al 19 marzo al Teatro Brancaccio di Roma. La foto di apertura è di Luigi Angelucci
Costellazioni
di Nick Payne
traduzione: Noemi Abe
regia: Silvio Peroni
luci: Valerio Tiberi
con: Aurora Peres, Jacopo Venturiero