Turbinosa ed evocativa. Così la danza di Goecke per il mito Nijinski

Raccontare con la danza. Sembra il trend dell’estate e certo un segnale interessante da tener presente. Perché si può raccontare  anche una storia ben nota e piena di aneddoti, trovando una via originale capace di fondere suggestioni e invenzioni teatrali. Lo abbiamo visto a BolzanoDanza, nel  Nijinski di Marco Goecke. Che rivela anche un grande interprete, italiano – Silvia Poletti

Dopo Il Lago dei Cigni e Giselle, l’estate della danza ci porta nuovamente a confrontarci con una modalità di drammaturgia coreografica che ancora una volta attinge ad una storia/mito e la riscrive con un nuovo pensiero coreografico e una nuova visione registica. Questa volta si tratta della vera biografia di Vaslav Nijinski, il celebre e sfortunato Dio della Danza la cui parabola è ben sintetizzata nella conta ‘dieci anni per apprendere, dieci anni per danzare, trent’anni per perdersi (nella follia schizoide, aggiungiamo, che lo imprigionò fino alla morte nel 1950). Una figura tragica ormai entrata nella mitologia contemporanea e ricercata numerose volte attraverso il cinema, il teatro e la danza stessa.

Tocca ora a Marco Goecke, quarantaquattrenne autore di Wuppertal, che seppur nato nella città di Pina Bausch ha scelto il linguaggio tradizionale del balletto per la sua formazione, anche se risente fortemente della tradizione espressionista rifiorita in Germania negli anni della sua adolescenza. Una carriera d’autore, la sua, che è cresciuta a velocità supersonica, dalle prime prove di una decina di anni fa e che oggi lo vede artista in residenza in due delle compagnie più prestigiose d’Europa: lo Stuttgart Ballett e il Nederland Dans Theater. Ovvero un faro della coreografia drammatica di tradizione moderna e un polo di creatività e ricerca.

Ed è esattamente lì che si colloca il mondo di Goecke, la cui cifra stilistica, estremamente personale e riconoscibilissima, sintetizza e raffina quanto le due correnti stilistiche/ideologiche della danza europea degli ultimi trent’anni hanno espresso di meglio. Con l‘atout, dicevamo, di dare a questa sintesi un inconfondibile segno personale, in cui si percepisce l’espressione di una personalità fascinosa e sfuggente, irrequieta e combattuta che ha trovato nella creazione un veicolo per i propri fantasmi. Gli idiosincratici movimenti delle braccia e delle mani – saettanti, frenetici, guizzanti che vorticano inesorabili, a velocità disumana, regalando una vertigine a chi osserva. Le espressioni del volto, le bocche che si spalancano e si contraggono, le lingue che si appuntiscono e si arricciano. Le spalle e il busto, ora contratti, ora ariosi, ora lineari, ma sempre ‘a vista’ – grazie a costumi unisex, elegantissimi ed essenziali: pantaloni neri, e parte superiore nuda o al più ricoperta di un esile velo su cui a volte vengono disegnati stilizzati simboli (nel nostro caso la Lira di Apollo e di Tersicore).

Sono questi i tratti distintivi di Goecke, che in Nijinski si applicano alla biografia del danzatore, tratteggiata quasi per schizzi, impressioni, epigrammi di danza. La scelta di Goecke rifugge infatti dal bozzettismo e dall’aneddotico e punta a un flusso dinamico inarrestabile, inizialmente travolgente, spiazzante e ‘monocorde’ proprio per l’insistito e quasi unico uso (talvolta all’unisono da tutti i danzatori) delle braccia con cui afferra e muove lo spazio (mentre le gambe, apparentemente, sono statiche o accennano a velocissimi spostamenti).

Il romanticismo melanconico e pensoso di Chopin dei Concerti per piano e orchestra 1 e 2 si contrappone a questo flusso irruente e frenetico di movimenti, da cui pian piano emerge il protagonista, Vaslav, le persone e i fatti che determinarono la sua vita – la madre, Diaghilev, la moglie Romola -; i ruoli culto – il Fauno, la Rosa, forse Petrouska -; la sua danza; i suoi conflitti personali (la dibattuta e irrisolta identità sessuale, l’angoscia per la tara familiare).

Ma bastano pochi tocchi, un mutare nella dinamica dei gesti, un rallentare, un tocco più ‘descrittivo’, un dialogo di corpi finalmente vicini ed ecco che con una mirabile capacità di sintetica evocazione Goecke distilla il senso più profondo di  relazioni personali, e anche emozioni intime: come nel quadro con la madre, in cui i cerchi delle braccia che si intrecciano, e che riottosamente vengono riposizionati in classici port de bras raccontano lo strazio di Vaslav nel dover lasciare l’amata famiglia per iniziare l’accademia di danza che consentirà a tutti benessere e denaro; oppure in quello in cui, sull’emblematica musica dell’Après-midi d’un Faune, in una sorta di dialogo speculare con un doppio, investiga e scopre il mistero della sessualità e dell’erotismo. La malia del lavoro sta nel modo di calibrare questi squarci di poesia coreografica, in cui sembra quasi che il riottoso coreografo voglia svelare qualcosa di più di se stesso e della sua palpabile sensibilità – col dinamismo poderoso, stilizzato e astratto della danza, qua e là innervata teatralmente anche di tocchi ironici, che la dicono lunga sulla padronanza di Goecke del tema scelto (come l’exploit dei petali di rosa che ricoprono la poltrona di Romola, suggestiva sintesi del coup de foudre erotico che la donna ebbe assistendo al ruolo più ambiguo di Nijinski, lo Spettro della Rosa per l’appunto).

C’è un’altra cosa poi, a ben pensare, che colpisce e fa ben comprendere perché Nijinski si attagli bene a Goecke. Spessissimo i danzatori -pur insieme – danzano ‘soli’, chiusi in loro stessi. E altrettanto sovente, Nijinski è solo, in scena, imploso nel suo movimento  che lo squassa dall’interno e alla fine esplode nella sua drammaticità. Si sente il dolore di una solitudine esistenziale, una voragine di angoscia. Potente.

C’è da credere che dopo l’acclamato debutto italiano al Festival Bolzano Danza 2016  Nijinski tornerà in Italia, con la Gauthier Dance Company, dinamica e vitale compagnia di danza diretta con bravura dal canadese Eric Gauthier e insediata a Stoccarda. Sarà l’occasione anche per rivedere il sensazionale protagonista del lavoro, drammatico, straziante, fisicamente potente e seduttivo, ben compreso nel linguaggio di Goecke, ma soprattutto interprete commovente con la sua prova davvero larger than life. Viene da Napoli, è cresciuto alla Scuola del Balletto di Toscana e dopo aver lavorato con Levaggi al Balletto Teatro di Torino è ora, come ha detto lo stesso Goecke, “la star della Gauthier Company”. Si chiama Rosario Guerra. Da segnarsi il nome sul taccuino.

 

Visto a Bolzano, Teatro Comunale, prima nazionale per BolzanoDanza il 27 luglio 2016. In apertura e nella gallery foto di Pitsfoto.

 

Un commento su “Turbinosa ed evocativa. Così la danza di Goecke per il mito Nijinski

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