Scritta e portata al successo nel 2011 dal francese Pascal Rambert, la pièce evoca con taglio intellettualistico la fine di un amore. Una proposta di qualità, anche se forse un po’ sopravvalutata, che vibra solo grazie ai magnifici Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi – Renato Palazzi
Clôture de l’amour è uno spettacolo scritto e diretto dal francese Pascal Rambert, che ebbe grande successo al festival di Avignone del 2011, e fu poi presentato nella versione originale alla rassegna “Vie” di Modena: lo stesso Rambert, pochi mesi dopo, ne ricavò – sempre a Modena – un’edizione italiana, protagonisti i magnifici Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi. Il tema è apparentemente semplice: vi si evoca la fine di un rapporto di coppia, vista prima con gli occhi dell’uomo, poi con quelli della donna, che esprimono i propri sentimenti attraverso due lunghi, interminabili monologhi, sfogando una sorta di smania logorroica senza mai riuscire davvero a dialogare.
Perché la storia tra i due finisce? In realtà non lo sapremo mai del tutto, anzi non lo sapremo, punto e basta. Finisce perché finisce. L’arzigogolato soliloquio del maschio, la risposta viscerale della femmina, le argomentazioni e le recriminazioni non hanno infatti lo scopo di illustrare una vicenda personale: vogliono tracciare una sorta di diagramma della fine, un canone quasi astratto dei meccanismi dell’abbandono. Più che ai concreti scarti esistenziali, l’autore-regista sembra badare alla costruzione del linguaggio, ai ritmi, alle cesure, al detto e al non detto di quel particolare schema linguistico al quale si rapporta un uomo che sta lasciando la sua donna, e quello con cui lei gli contrappone le sue ragioni.
Lontano da qualunque tentazione realistica, il testo si presenta come una gelida composizione intellettuale. Non può non essere tale, perché altrimenti perderebbe la sua tensione all’assoluto, scadrebbe nel particolare, nel dettaglio biografico, che è ciò da cui Rambert vuole guardarsi. Ma questa gabbia intellettuale, essendo fatta di parole, e non di pure percezioni, diventa inevitabilmente una struttura letteraria, una struttura rigida, artefatta, che non sempre si è disposti a seguire. Per lui, che vorrebbe “riparametrare il rapporto”, l’intellettualismo sembra un vizio innato, una sorta di peccato originale, con dei risvolti quasi parodistici. Ma lei, che si prende l’applauso dandogli del coglione, e poi si perde in metafore mitologiche ed elucubrazioni su Orfeo ed Euridice?
Questo impervio disegno mentale, che costituisce il fascino e anche il limite dell’operazione, è ribadito dalla collocazione dell’azione in uno spazio bianco, neutro, che fa pensare a una sala prove o al retro del palco di un teatro. E i protagonisti, non a caso, hanno i nomi degli interpreti, Luca e Anna, e alludono al proprio lavoro come a qualcosa di connesso con la creazione scenica, in un ambiguo gioco di rispecchiamenti tra realtà e finzione. L’algida sintassi del progetto registico è rotta solo – si fa per dire – da due atti per certi versi dimostrativi: un coro di bambini che irrompe a metà – un po’ united colors of Benetton, ma efficace – e i due copricapi tribali che i personaggi indossano alla fine, entrambi richiami a un’istintualità perduta, e ormai irrecuperabile.
Che dire, in sostanza? Resta senza dubbio l’impressione di una proposta di qualità, anche se forse un po’ sopravvalutata, come accade spesso per certe cose che entusiasmano il pubblico francese. Di certo sul giudizio pesano un paio di fattori negativi: l’aver visto, in primo luogo, lo spettacolo al Teatro Studio di Milano in una serata piuttosto fiacca, con un pubblico scarso che non sembrava particolarmente attento e motivato. E soprattutto l’averlo visto in una situazione stranamente infelice, con la scena montata in fondo alla sala e gli spettatori seduti sulle gradinate laterali, a grande distanza dagli attori, la cui voce arrivava a fatica, laddove il testo avrebbe richiesto probabilmente una vicinanza fisica. Mancava solo qualche lastra di ghiaccio nel mezzo.
A riscattare tutto questo c’era però la strepitosa prova di Lazzareschi e Della Rosa, che sfoggiano virtù quasi acrobatiche nell’inerpicarsi sulle ripide architetture verbali ordite dall’autore – elegantemente tradotte da Bruna Filippi – e bravissimi anche nel riempire i loro interminabili momenti di silenzio, rendendoli eloquenti con lievi variazioni della postura e brevi movimenti di avvicinamento o allontanamento, senza mai arrivare a toccarsi. Entrambi affrontano i febbrili costrutti poetici del testo con sorprendenti variazioni ritmiche, ardite accelerazioni e affannosi rallentamenti, lui mettendoci una foga lucidamente delirante, una spietatezza amara, impotente, lei ribattendo con una sorta di furore fisiologico, un’aggressività disarmata e disperata.
Visto al Piccolo Teatro Studio di Milano. Repliche fino al 18 maggio 2014
Clôture de l’amour
uno spettacolo di Pascal Rambert
traduzione: Bruna Filippi
con: Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi
Visto a Bologna.. Pessimo, spazzatura.
Ogni commento è lecito, ma definire spazzatura uno spettacolo è un po’ troppo, cara Berenike. Era sufficiente dire che non ti è piaciuto.
enzo fragassi
E’ possibile trovare una registrazione in DVD o altro del bel lavoro che ho visto su RAI 5 ? O con chi posso mettermi in contatto per averlo? E’ una immersione negli interstizi dell’anima , recitati con grande intensità e bravura dagli attori. Una vera lezione psicoanalitica sulla separazione. Una lezione di verità.
Leo Marino
Gentile amico,
lei è fortunato. Il servizio della Rai denominato Rai Replay è nato apposto per consentire di rivedere trasmissioni già andate in onda. Cerchi “Rai Replay” in un motore di ricerca, vada su Rai 5 e buona visione. e.f.