Con smaliziato fiuto drammaturgico e con la complicità di un bravo Massimo Ranieri, Maurizio Scaparro ha allestito l’omaggio alla visione teatrale di Raffaele Viviani, popolandola da par suo di figure e figurette in chiaroscuro, che ci restituiscono una cartolina di Napoli ben distante dall’iconografia più abusata – Renato Palazzi
Nel 1929, a bordo del piroscafo Duilio, Raffaele Viviani sta navigando con la sua compagnia verso Buenos Aires, dove avrà inizio una lunga tournée sudamericana. Maurizio Scaparro immagina che nel corso del viaggio l’autore-attore napoletano e i suoi pittoreschi adepti dapprima provino, poi eseguano davvero uno spettacolo organizzato per salutare il passaggio dell’Equatore. Giocando elegantemente sui sottili intrecci tra vita e teatro, il regista costruisce un primo atto interamente dedicato alla preparazione, con relativa messa a fuoco di quella piccola umanità che ruotava attorno al varietà partenopeo degli anni Venti, mentre nella seconda parte lascia spazio ai vari “numeri”, presentati ora nella loro pienezza, coi costumi e gli effetti necessari.
Con smaliziato fiuto drammaturgico, Scaparro – che operazioni del genere le sa condurre alla perfezione – proietta quelle figurette di comici e di sciantose su uno sfondo sociale più mosso e articolato, stagliandole in un affettuoso ritratto d’epoca: ecco allora che la spigliata comunità dei teatranti si incontra e si mescola con gli emigranti veri, quelli che in Sudamerica ci vanno per tentare di salvarsi dalla fame, fra i quali non manca – con un lieve tocco di retorica, che però fa parte del gioco – una coppia di giovani imbarcati clandestinamente, che l’ensemble prenderà sotto la sua protezione. Ed ecco che le voci dei cantanti si intrecciano coi richiami dell’acquaiolo e del venditore di cozze, tracce sonore dei mestieri popolari che animavano i vicoli napoletani.
La finzione, insomma, si contrappunta di continuo alla realtà in un testo che utilizza e giustappone le canzoni, le scenette, i versi, le macchiette che provengono da varie opere di Viviani, e che caratterizzano la tipicità della sua scrittura, illustrandone la capacità di portare materiali espressivi “bassi” a un alto livello di dignità poetica. Nel variare dei toni, ora beffardi, ora amarognoli, affiora comunque una serie di temi comuni, un anonimo coro di guappi, malavitosi, zingari, prostitute, osti che imbrogliano sulle dosi, ragazze perdute, dannate, vendute ma ugualmente appassionate e pur sempre capaci di sacrificarsi per salvare il loro uomo, immancabilmente in galera, o prossimo ad andarci.
C’è sempre, in questo repertorio, qualcosa di fondamentalmente acre, di non conciliante, come un’ombra di risentimento, un dolore inconfessato che si affaccia anche dai brani all’apparenza più leggeri. C’è un nucleo di durezza, mitigata ma non risolta dal vibrare della commozione: tutti gli uomini paiono figli di padri e madri ignoti, tutte le donne sono in rotta con la famiglia. L’amore, coi baci, porta la presenza del coltello, la minaccia – mai del tutto sopita, come le cronache odierne drammaticamente insegnano – dello sfregio quale castigo al fatale tradimento. E la definizione di malavita non si adatta a chi ruba e delinque, che vive benissimo, nella prosperità e negli agi: l’autentica mala vita è invece quella dei poveracci onesti che non hanno da mangiare.
Il sorriso e la lacrima, la tenerezza e il gelo della lama, il tutto immerso negli echi del magma partenopeo, ma ben lontano da una Napoli da cartolina: la visione del varietà che ha Viviani è fatta anche di questi chiaroscuri, che lo spettacolo pone in luce pur nella sua patina di gradevolezza, e non senza qualche ridondanza. E poi c’è la bravura degli interpreti: di Massimo Ranieri, in primo luogo, che – acclamatissimo dai fan – non si scorda di essere stato attore brechtiano, e riesce a evocare la figura e i personaggi di Viviani unendo al calore della partecipazione un che di stilizzato e vagamente dimostrativo. Ma tutta la compagnia dà un apporto decisivo, così come l’orchestra che l’accompagna dal vivo e non esita, quando occorre, a entrare buffamente nell’azione.
Visto al Teatro Nuovo di Milano. Repliche fino all’11 maggio 2014
Viviani Varietà
poesie, parole e musiche del teatro di Raffaele Viviani
regia: Maurizio Scaparro
con: Massimo Ranieri, Ernesto Lama, Roberto Bani, Angela De Matteo, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Gaia Bassi, Rhuna Barduagni, Antonio Speranza, Simone Spirito, Martina Giordano
orchestra: Massimiliano Rosati, Flavio Mazzocchi, Mario Guarini, Donato Sensini, Mario Zinno
elaborazione musicale: Pasquale Scialò
testi a cura di Giuliano Longone Viviani
scene e costumi: Lorenzo Cutuli
movimenti coreografici: Franco Miseria
sede: Milano, Teatro Nuovo, fino all’11 maggio