Red Forest

Il dio dei Belarus piange come un bambino

In “Red Forest” il collettivo bielorusso Belarus Free Theatre pratica con la consueta crudezza un teatro fortemente connotato politicamente. Ma con l’andare degli anni il messaggio si fa più edulcorato e formale. Si parla anche di “Nuvole.Casa” di Chiara Guidi e “La notte” di Pippo DelbonoMaria Grazia Gregori


Un pianto pieno di spavento, inquieto, sottile. Un pianto di bambino che vive i primi momenti della sua vita confusamente cogliendone come un cucciolo indifeso la paura e l’orrore. La foresta che dà il titolo al nuovo spettacolo del gruppo bielorusso Belarus è rossa, divorata com’è da un grande incendio appiccato in nome del progresso e dell’avidità di molti. Commissionato dal Festival Lift di Londra e dal Melbourne Festival, Red Forest analizza episodi di violenza quotidiana e addirittura planetaria compiuti dai nuovi signori del mondo – le multinazionali – che si muovono con inusitata crudeltà annientando foreste, villaggi, fauna, persone, vita civile con micidiali mezzi di distruzione di massa. Una distruzione dell’ambiente che porterà come conseguenza anche quella dell’uomo e di tutte le diverse forme di civiltà che popolano il nostro pianeta. Un viaggio in ambienti e popoli diversi, viaggio spesso pericoloso, ma che ha permesso al gruppo bielorusso di toccare con mano cosa significa la devastazione di un territorio e che conseguenze può comportare nella vita dei popoli e nell’economia dei paesi soprattutto in quelli più poveri quasi del tutto privi di industrie ma ricchi di natura spesso incontaminata. Ce lo dice quel pianto infantile che ritorna ossessivo quando viene stuprata o uccisa una donna, quando i nuclei familiari vengono distrutti e i piccoli venduti per cibo o per allietare la solitudine delle benestanti coppie del paesi più ricchi.

Certo lo stile crudo, fortemente politico degli artisti bielorussi che li ha rivelati in Occidente anche per la loro capacità di resistenza a situazioni incompatibili con la libertà dell’arte, con l’andare degli anni si è – almeno così a me pare – edulcorato, più attento alla forma che a una denuncia personale, ma l’attenzione verso situazioni di sfruttamento e di totale illibertà è, per fortuna, sempre molto forte. Rispetto agli spettacoli in “bianco e nero” ai quali ci avevano abituati, Red forest giunto al Festival VIE di Modena dalle Vie dei Festival di Roma è rutilante di colori ma piomba nell’oscurità più buia quando i grandi fanali dei fuoristrada delle compagnie straniere squarciano le foreste dell’Amazzonia, il riposo dei piccoli villaggi per fare razzia di uomini e di donne.

Ecco allora il mondo dei battuti rappresentato nel cerchio di sabbia rossa delimitata da due muri, aldilà dei quali agiscono due gruppi di musicisti mentre sul fondo del palcoscenico uno schermo riporta i luoghi e gli anni di alcuni episodi che in alcuni paesi dal Brasile all’Algeria sono stati teatro di violenze come quella subita da una donna scappata dalla Libia da parte di soldati spagnoli. Red forest è uno spettacolo di corpi e immagini con voce fuoricampo che sottolinea i diversi momenti di un viaggio onirico che ha il suo filo conduttore nell’indiano Jeremy che indossa gli abiti da cerimonia della sua gente non tanto per raccontare la storia del suo popolo scomparso ma per narrare quella di gente che non ha le parole per dirla. Una sorta di narratore che travalica le epoche e le civiltà, una specie di dio eponimo, che vuole dare forza alle voci di chi non riesce a essere ascoltato.

All’interno di un corposo progetto dedicato al Nobel Elfriede Jellineck, Chiara Guidi con Nuvole.Casa ha firmato e interpretato un piccolo spettacolo poetico e commovente andato in scena nella Biblioteca Poletti di Modena con le musiche eseguite dal vivo al contrabbasso da Daniele Roccato e con la partecipazione di Filippo Zimmermann . Qui le parole si strutturano a strati come i libri-mattoni che troviamo sulla sedia dove ci sediamo con cui costruire una “casa” di voci, di parole e di suoni. Li prendiamo sulle ginocchia e la prima sensazione è quella – mentre Chiara Guidi con bravura esegue una partitura vocale che accanto alle parole della Jellineck mescola quelle di Hölderlin, di Kant per chiudere con quelle di Benjamin che ci dicono che dobbiamo andare verso il nostro futuro ma rimanendo legati al nostro passato -, di essere colpiti da onde sonore, che coinvolgono anche noi dentro questo affascinante viaggio che si interrompe bruscamente non appena arriva un inquietante adolescente che insegue un pensiero tutto suo e che alla fine ammucchierà tutti i libri per portarseli via.

Dalla foresta dei Belarus, Vie nel suo schizofrenico andare di qua e di là ci conduce un’altra foresta del tutto diversa, quella che dà il titolo a un magnifico testo di Bernard Marie Koltès, La notte poco prima della foresta qui diventata La notte (già presentato al Garofano verde di Roma), che segna l’incontro destinato forse a strutturarsi in un vero spettacolo aldilà della pur affascinante lettura che oggi, con la collaborazione del musicista Piero Corso, ne dà Pippo Delbono. Preceduta da una bellissima lettera del fratello del drammaturgo francese che ha lasciato piena libertà a Pippo di muoversi dentro il testo facendolo “suo”. L’incontro postumo fra i due è un vero e proprio corpo a corpo fra l’attore che se ne impadronisce a poco a poco inserendoci cose sue e l’autore che racconta, attraverso parole che sono un magma poetico incendiario, l’emarginazione, la solitudine, una ricerca inesausta e senza freni verso un amore che non si vergogna di dire il suo nome: un colpo al cuore, che chiude la serata e insieme il festival.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Red Forest
ideazione e performance Belarus Free Theatre
performers, ideazione e contributi Pavel Haradnitski, Kiryl Kanstantsinau, Michal Keyamo, Stephanie Pan, Francesco Petruzzelli, Jeremy Proulx, Maryia Sazonova, Nastassia Shcherbak, Ibrahim Shote, Philippe Spall, Andrei Urazau, Eleanor Westbrook
contributi aggiuntivi  Viktoryia Biran, Siarhei Kvachonak, Josh Coates, Franziska Haberlach and Patrick Walshe McBride
direzione, testo e scene Nicolai Khalezin
produttore esecutivo e co-writer Natalia Kaliada
compositore e musicista Arkadiy Yushin
secondo compositore e musicista Ignatius Sokol
produttore e dramaturg Fenella Dawnay
video e disegno luci Andrew Crofts
design del suono David Gregory