Malacrescita

La Malacrescita di Mimmo Borrelli

Fra i maggiori drammaturghi odierni, Mimmo Borrelli si esprime in un dialetto flegreo  popolare e insieme fortissimo, duro, impietoso. “Malacrescita” racconta una storia di camorra colma di feroce dolore ma anche di nascosta tenerezzaMaria Grazia Gregori


In scena per pochi giorni al Piccolo Teatro Studio di Milano c’è Malacrescita, uno spettacolo di Mimmo Borrelli, fra i maggiori drammaturghi italiani di oggi. Rivelatosi al Premio Riccione nel 2005 con ‘Nzulrachia, scrive in dialetto flegreo, una lingua letteraria e popolare insieme, fortissima, dura, impietosa, non facile, inquieta, lutulenta, barocca che mescola il basso e l’alto, la passione e la violenza il cui risultato è un linguaggio rapsodico dall’ampio respiro. Spettacolo affascinante, misterioso, meritoriamente ospitato dal Piccolo, che certo richiede al pubblico un’attenzione altrettanto forte (si può leggere il testo cliccando sul sito del Piccolo Teatro) e generosa quanto lo è il lavoro dell’attore che lo interpreta, che è poi lo stesso Borrelli. E per quel che sembra sfuggire all’immediata comprensione ecco che all’improvviso si aprono nel testo delle specie di “finestre” più piane che accompagnano lo spettatore e che danno, senza minimante ledere il maestoso incedere del testo, il tema e il sentimento di quanto si dice. Ed è affascinante anche osservare il lavoro di Borrelli, attore che si fa maschera e megafono accompagnato dalle musiche eseguite dal vivo di Antonio della Ragione che si mescolano ai suoni, alle urla, alle campane, allo sbatacchiare di oggetti, ai rantoli. Una notevole prova di attore che si aggiunge al lavoro di regista e di drammaturgo in questo monologo dalla molte voci, declinato in prima persona.

Malacrescita è tratto liberamente dalla tragedia La madre: ’i figlie so’ piezze ‘i sfacimme (premio Testori nel 2013), rappresentato qualche tempo fa con la regia dell’autore e l’interpretazione di Milvia Marigliano. Là era la madre, unica sopravvissuta, a raccontare; qui, invece, Borrelli immagina che tutti i protagonisti della storia siano ormai tutti morti e che a prendere la parola siano i due gemelli, due scemi, due pazzi che rivivono la tragedia della loro famiglia e della loro nascita. Personaggi che, come in altri testi di Borrelli, sono segnati dalla malattia, dalla diversità, dalla follia. La madre aguzzina di cui l’unico figlio parlante Pascale Mammiluccio – spinto a farlo anche dall’altro fratello Totore che non parla ma che agisce attraverso pupazzi, campane, giocattoli – racconta è Maria Sibilla Ascione, figlia di un camorrista che coltiva pomodori vicino alle discariche nella terra dei fuochi e ne nutre la figlia intossicandola, che, quasi predestinata, si innamora di un camorrista detto “Santokanne” e per lui distrugge la propria famiglia uccidendo il fratello e facendo morire di crepacuore il padre. È lei che, novella Medea, per vendicarsi dei tradimenti e delle violenze del marito – che si sente vittima di una gravidanza non voluta – non uccide i due gemelli partoriti dopo inutili tentativi d’aborto, ma li cresce, negandogli il latte, con il vino, condannandoli alla demenza.

In una scena buia dove spicca sullo sfondo una specie di altare o tomba di terra senza lapide, circondata da bottiglie di vino e di conserva di pomodoro, illuminati da una luce fioca, ci sono il musicista Antonio della Ragione seduto con le spalle al pubblico (che rappresenta il silenzioso Totore) e lo straordinario Mimmo Borrelli che, come un fiume in piena, ripercorre come un cantore antico, la storia sua, del fratello, della sua famiglia e, quasi posseduto, ma rigorosamente presente, fra filastrocche, invettive, borborigmi si trasforma in tutti i personaggi. Per farlo gli sono sufficienti la gestualità, magari l’aiuto di un vestituccio buttato sulle ginocchia, al resto ci pensa la sua presenza d’attore, la sua forza nel comunicarci una storia così tragica, colma di feroce dolore e di una nascosta tenerezza.

Malacrescita
tratto dalla tragedia “La Madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimma”
con Mimmo Borrelli
musiche in scena Antonio della Ragione
oggetti di scena, elementi e spazio scenico Luigi Ferrigno
testi e regia Mimmo Borrelli
disegno luci Gennaro Di Colandrea
produzione Associazione Culturale Sciaveca
collaborazione al progetto Luigi Ferrigno, Placido Frisone, Enzo Pirozzi, Tobia Massa
si ringraziano Teatro Mercadante Stabile di Napoli, Eti-Teatri del Tempo Presente 2009, Primavera dei teatri di Castrovillari 2009, A.S.D “Il Centro”