In cui si parla del meritorio recupero del Teatro Sociale di Gualtieri, della nomina di Stefano Massini al Piccolo Teatro, degli sprechi di talenti ed energie e di una trasferta in Belgio
Il Teatro Sociale di Gualtieri (foto) è un affascinante guscio vuoto, un gioiello in rovina. I due ordini di palchi, il labirinto dei camerini, lo spazio nudo della scena testimoniano uno stratificarsi di epoche diverse, ma il tutto ha una sua particolare armonia. A gestirlo è un gruppo di operatori locali che lo stanno in pratica restaurando con le proprie mani, realizzandovi anche delle stagioni di eccellente livello: dal 23 al 26 luglio è in programma un “festival di mutuo soccorso teatrale” riservato a gruppi under 30. Il loro sforzo andrebbe sostenuto. Se certe risorse sprecate in pseudo-TRIC e carrozzoni nati all’ultimo momento andassero invece a progetti come questo, che portano davvero la cultura dove ve n’è più bisogno, avremmo l’impressione di vivere in un paese migliore.
Nella cittadina belga di Mons, capitale della cultura 2015, Marco Martinelli ha proposto una versione in lingua francese di Rumore di acque con un coro di sessanta abitanti del luogo, adulti, anziani, bambini che hanno poi partecipato all’Eresia della felicità, irresistibile rito di condivisione dei versi giovanili di Majakovskij. Era il terzo rifacimento di questo particolare evento, dopo la prima esecuzione a Santarcangelo 2011, con duecento adolescenti di tutto il mondo, e la seconda con allievi delle scuole di Venezia e di Mestre, ma il meccanismo ha funzionato alla perfezione, scatenando l’emozione esattamente là dove la suscitava nelle occasioni precedenti. Al di là di tutto il resto, è il segno che anche in questa Europa così gelida e asettica il teatro e la cultura possono davvero essere ancora uno strumento per unire i popoli.
Girando per festival, molti mi chiedono cosa penso della nomina di Stefano Massini al Piccolo Teatro. Cosa posso rispondere? Che a Massini fosse stato affidato il ruolo di consulente artistico, svolto in precedenza da Ronconi, lo abbiamo saputo solo grazie allo scoop di una collega, Anna Bandettini, a cui non è seguito lo straccio di una conferma, di un’indicazione ufficiale. Alla conferenza stampa di presentazione della stagione non mi risulta che gli sia stata data la parola. E’ vero che in questi casi meno si parla, meno si rischia di assumersi degli impegni che forse non si sarà in grado di mantenere. Ma stavolta l’eccessiva discrezione della sua presenza non sembra comunque promettere spazi per chissà quali rivoluzioni.
Una delle caratteristiche peggiori del teatro italiano è la sciagurata vocazione allo spreco, non solo di risorse economiche ma soprattutto di idee, di energie, di talento. Quanti sono gli spettacoli, anche importanti, che dopo essere stati rappresentati un paio di volte spariscono nel nulla? Sere fa, in una casa privata di Piacenza, Michele Di Mauro e il musicista Giupi “GUP” Alcaro hanno riproposto il bellissimo Enrico 4., un piccolo capolavoro che parte da Pirandello per trascinare lo spettatore in un folgorante viaggio negli abissi della follia, nell’enigma dei rapporti tra realtà e finzione, nello sforzo di dare un senso al non-senso della vita. Il pubblico era in visibilio. Ebbene, dal 2009, l’anno del debutto, quante repliche credete che abbia avuto questa straordinaria creazione attorale e drammaturgica? Sì e no una quindicina.